Le vittorie del Setterosa – quarta e ultima parte.
Invitata da Aurora Puccio a spiegare quale fosse la forza del gruppo del Setterosa, Martina Miceli racconta1:
Non volevamo mai perdere. Lo zoccolo duro formato dalle veterane ha avuto questa mentalità, trasmessa poi alle altre. Entravi solo se possedevi quest’atteggiamento, Un gruppo molto chiuso. Difficile accedere. Ma una volta entrata, se dimostravi di essere all’altezza, le cose cambiavano.
Poi, mostrando di saper cambiare punto di vista, da brava e vincente allenatrice quale poi è diventata, rivela: «Ti dico la verità, eravamo antipatiche». E ricorda come per le giovani fosse difficile inserirsi, come la gerarchia vigente imponeva loro di iniziare raccogliendo le calottine a bordo vasca a fine allenamento, un rituale, uno dei tanti che lo “zoccolo duro” reiterava nel corso dei collegiali, che, però, per chi era appena arrivata poteva essere percepito come un sopruso, un esercizio di nonnismo. Non a caso, persino una Tania Di Mario ha dovuto faticare, benché il suo talento e le sue capacità fossero evidenti sin dal suo esordio ai massimi livelli, a soli venti anni, all’Europeo di Prato del 1999.
Miceli si spinge oltre e parla di atteggiamento antipatico del Setterosa anche nelle comunicazioni ufficiali, di una riottosità a concedere interviste ai giornalisti perché «a noi importava solo allenarci, non la visibilità», che poi si è tradotta in una ostilità da parte dei media dopo la grande delusione del pre-olimpico di Palermo del 2000 («ci dicevano che eravamo vecchie»). Tutte cose che hanno spinto il gruppo a chiudersi ancor di più a riccio, arrabbiato con il mondo intero, ma con il pensiero rivolto a quell’unico successo che mancava al palmares.
Atene 2004.
Il match che dà alla Nazionale italiana femminile di pallanuoto il sospirato oro olimpico è una strana gara a rincorrere la Grecia padrona di casa, che solo una settimana prima era stata nettamente battuta 7-2 in una partita valida per la fase a gironi.
La semifinale vinta a fil di sirena contro gli Stati Uniti era sembrata la “vera” finale. Perché nell’atto conclusivo del Mondiale 2003 le americane avevano sconfitto le azzurre, in modo più netto di quanto dicesse il punteggio (6-8), e perché anche ad Atene le statunitensi erano state avanti di due reti per larghi tratti dell’incontro. Poi, nel quarto tempo era arrivata la rimonta del Setterosa, completata a due secondi dal termine da un miracolo balistico di Manuela Zanchi, che a segnare non era poi così abituata. Una rete che, nel mio personale podio dei ricordi, siede accanto alla palombella di Antonella Di Giacinto nella finale dell’Europeo del 1995 e al golden gol di Melania Grego contro le padrone di casa dell’Australia in semifinale al Mondiale di Perth del 1998.
E, invece, nonostante le benauguranti premesse, il match contro la Grecia porta con sé soffernze ancora maggiori del precedente a chi è seduto davanti alla tv. Certo, la finale è sempre una partita a sé, chi parte sfavorito non ha nulla da perdere, chi, invece, ha l’obbligo di vincere sente una tensione maggiore. E via dicendo, con altri luoghi comuni.
Di fatto, però, nessuno si sarebbe aspettato di vedere le azzurre inseguire per così tanto tempo e, men che meno, avrebbe pensato che, a supplementari raggiunti, il Setterosa sarebbe finito un’altra volta sotto di due reti. Poi Grego, Di Mario e, di nuovo, Grego sistemano le cose e fissano il risultato sul 10-9.
Il giorno della loro ultima partita in Nazionale Lilli Allucci, Giusy Malato, la portiera Cristiana Conti, la stessa Melania Grego vanno sul podio a ricevere quella medaglia, che negli ultimi quattro anni era diventata qualcosa a metà tra un obiettivo e un’ossessione. Anche per il ct Formiconi, “promosso” a ct del Settebello, è il momento dell’addio.
Il ciclo, l’epopea vincente del Setterosa propriamente detto, si conclude ad Atene, nel 2004. Quel nome, cucito addosso alle pallanuotiste azzurre nel corso del Mondiale di Roma del 1994, rimarrà appiccicato a tutte le successive Italie femminili. Un’eredità, a volte, troppo pesante da portare.
A proposito di eredità.
Quando la storia del Setterosa ha avuto inizio, le giocatrici della Nazionale erano per la FIN (la federazione italiana) nient’altro che dilettanti che toccava portare agli Europei ogni due anni. Per avere la possibilità di allenarsi di più, per vedersi riconosciuta una diaria e dei premi paragonabili a quelli dei pallanuotisti, persino per avere la fisioterapista e il medico le azzurre hanno dovuto lottare.
In dieci anni tante cose sono cambiate, non tutte. Tanto che il Setterosa, nonostante le sue battaglie, non è riuscito lasciare in eredità la cosa cui teneva di più (oltre l’oro olimpico). Chiosa Martina Miceli:
Dopo il 2004 […] divento il capitano [della Nazionale]. Siamo anche campionesse olimpiche in carica per cui stavolta faccio presente alla Federazione che non c’era più motivo di continuare questa disparità di trattamento [con gli uomini]. Invece niente. Non capisco perché ho concluso la mia carriera vincendo tutto, prendendo meno dell’ultimo dei maschi arrivati in Nazionale che non aveva vinto ancora niente.
Puntate precedenti: La nascita, La lotta, La grande delusione


