In La storia dimenticata del calcio femminile, bello e documentato articolo che lo storico dello sport Marco Giani ha scritto di recente per Ultimo Uomo, si accenna ai quattro gol segnati da Carolina Morace con la maglia azzurra in amichevole a Wembley, contro la Nazionale femminile inglese, il 18 agosto del 1990 e al fatto che il pallone di quel giorno sia custodito in una teca del Museo del calcio di Coverciano. Eppure,
nonostante tali encomiabili sforzi […] non si può dire che tale impresa sia diventata patrimonio comune di coloro che seguono oggi il calcio femminile. Perché?
Per la mancanza di un contesto storico, suggerisce lo stesso Giani: il match era solo un’amichevole, antipasto della finale di Charity Shield1 tra Liverpool e Manchester United (maschili), e, in fondo, quel poker non era così importante in relazione al movimento calcio-femminile dell’epoca perché l’Inghilterra non era la potenza che è oggi e, al contrario, l’Italia era tra le compagini europee con maggiore tradizione.
Ergo, quel pallone è lì perché Wembley e la Nazionale dei tre leoni sono un «mito maschile», rimandano a grandi sfide del passato e a quella vittoria in casa degli inglesi, rincorsa dagli azzurri dai primi anni Trenta fino al colpo di testa di Fabio Capello datato 1973.
Di come le federazioni internazionali e nazionali lancino il messaggio che il calcio al femminile possa crescere solo ricalcando quanto fatto da e per i colleghi maschi nei decenni addietro, ho detto tante volte. Nel ciclismo agisce una dinamica simile, veicolata dal concetto di “classica”.
E tutto questo porta con sé un ulteriore livello di subalternità del femminile verso il maschile, una subalternità che, con argomenti di carattere storico, consolida la narrazione imperante, priva di prospettiva storica in merito a quanto fatto in passato dalle donne.
Classiche maschili e classiche monumento.
«Cos’è un classico [della letteratura]? È un sopravvissuto», così lo definiva Umberto Eco2, spiegando che la sua sopravvivenza è «il doppio risultato dell’attività di conservazione della memoria e dell’attività di filtraggio della memoria».
E poi, in modo ironico e provocatorio, aggiungeva:
Dobbiamo fidarci di questo filtraggio? No, per le stesse ragioni per cui non dobbiamo fidarci necessariamente della democrazia.
Detto che i tempi attuali fanno capire giornalmente perché non ci si possa fidare della democrazia, proverò ad analizzare il processo che ha determinato/determina quali corse in linea vadano considerate classiche del ciclismo maschile e quali no, perché anch’esso è frutto di un meccanismo di filtraggio che, in quanto tale, non può essere preso per buono così com’è.
Il primo elemento da considerare è che non c’è una definizione ufficiale di classica, una definizione benedetta dalla federazione internazionale. Come segnalato dal blog specializzato Escape, nelle trecento e più pagine che l’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) dedica alle regole e alla classificazione delle corse su strada il termine “classica” non compare mai. Eppure, tra il 1989 e il 2004 è stata disputata la Coppa del mondo UCI di ciclismo su strada, competizione stagionale basata sui risultati ottenuti da ciclisti e squadre in una decina di corse in linea maschili opportunamente scelte dalla federazione, a mo’ di Mondiale di Formula Uno; e dal 2005 la Coppa del mondo è stata assorbita da un circuito internazionale, attualmente noto come UCI World Tour3, che è più ampio, perché considera anche i risultati dei tre Grandi giri e di varie altre corse a tappe, ma, di fatto, veicola l’idea che una one-day-race è importante e appetibile solo se è di classe 1.UWT, ovvero ha il bollino World Tour.
Ad ogni modo, pur se non ufficialmente proposta, l’implicazione
corse di classe 1.UWT ⇒ classica (maschile)
ha la sua influenza. Basta vedere quanto accaduto per la Strade Bianche: la gara degli sterrati in terra senese si è disputata per la prima volta nel 2007, è nel giro World Tour dal 2017, eppure è già narrata come una classica di inizio stagione. O ancor più per la Classic Brugge-De Panne, vista la nonchalance con cui gli organizzatori della Tre Giorni di De Panne -prima edizione nel 1977, nel World Tour dal 2019- hanno inserito il termine “Classic” nella nuova denominazione ufficiale, quando nel 2021 hanno deciso di passare a un format di gara diverso (due corse in linea di un giorno, una femminile e una maschile).
Almeno apparentemente, questi due esempi contravvengono anche al criterio della sopravvivenza annunciato da Eco. Il fatto è che la letteratura richiede per la formazione di un canone, anteprima della sopravvivenza4, molto più tempo di quanto ne serva in ambito sportivo per inventarsi una tradizione, soprattutto se si è di fronte a eventi fruiti da persone appartenenti a diversi ambienti sociali e provenienti da varie parti del mondo: stampa, radio, televisione e ora il web hanno via via aumentato la rapidità con cui una notizia si diffonde, aumentando, al contempo, la velocità con cui la stessa notizia da attuale diventa passata, “storica”. Quale appassionato di calcio non riconoscerebbe oggi al Paris Saint-Germain lo status di squadra rappresentativa del calcio francese? Eppure la compagine parigina è stata fondata solo nel 1970 e nei suoi primi quaranta anni di vita ha vinto solo due campionati nazionali, mentre ora è a quota 13 e ha vinto 11 delle ultime 13 Ligue 1.
Il tempo non è, dunque, un problema, ma non è neanche la soluzione, visto che ci sono one-day-race come la Milano-Torino o la Parigi-Tours che contano più di cento edizioni ma che attualmente non rientrano nel novero delle gare World Tour: come fare, da un lato, a non ritenerle classiche? come sperare, dall’altro, che sopravvivano al filtraggio della memoria se sono fuori dal circuito delle gare-che-contano?
Sarà forse perché questa terminologia mischia e confonde diversi piani, che da una ventina di anni, nella narrazione del ciclismo maschile ha preso sempre più piede il concetto di “classica monumento”: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Liegi-Bastogne-Liegi e Giro di Lombardia sono le monumento, le classiche più classiche di tutte le altre, un po’ come nella orwelliana Fattoria degli animali «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri»5.
Nessun criterio esplicito, è così e basta! Ad ogni modo, le cinque monumento hanno una serie di caratteristiche in comune, qui elencate in ordine decrescente di romanticismo:
- sono le gare di un giorno più lunghe del calendario internazionale maschile
- contano più di cento edizioni
- salvo rarissime eccezioni, hanno fatto parte delle gare valide per la Challenge Desgrange-Colombo (1948-1958) e per il Super Prestige Pernod (1959-1987), trofei non avallati dall’UCI, ma sorta di World Tour ante litteram
- hanno fatto parte della Coppa del mondo UCI (1989-2004)
- sono attualmente parte dell’UCI World Tour
- assegnano più punti di tutte le altre corse in linea nell’UCI World Ranking, classifica annule che si rinnova settimanalmente tipo quella ATP per il tennis maschile
- hanno un alto montepremi
Fatalmente, sono gli ultimi due criteri a far sì che la partecipazione dei big sia maggiore e la voglia di vincerle anche. Oltretutto, l’UCI ha aggiustato il calendario internazionale in modo che le monumento siano precedute da corse con il bollino World Tour a loro affini. Come fa l’ATP Tour nel tennis: i quattro Slam in cima alla piramide e tennisti invitati (da punti e soldi in palio) a giocare tornei ATP sulla terra e sull’erba di una certa importanza prima di affrontare il Roland Garros o Wimbledon.
Insomma, nel ciclismo maschile, al momento, il filtraggio della memoria di cui sopra è orientato dalla federazione internazionale in modo che tutte le corse di classe 1.UWT e, in particolare, le monumento alimentino da sé la propria fama. Almeno fino a quando avranno i giusti budget a disposizione. Sennò fanno la fine della Parigi-Tours, che verifica tutti i criteri sopraelencati, tranne gli ultimi due.
La versione femminile delle classiche maschili
La prima Coppa del mondo femminile UCI di ciclismo su strada è datata 1998: nove anni dopo il varo di quella maschile. Sei le gare in linea in calendario, tre in Europa, due in Nord America, una in Australia, tutte inventate al momento o quasi, tanto che la più “vecchia” del lotto è la Liberty Classic di Philadelphia, disputata la prima volta nel 1994.
Lì dove non c’è una tradizione, la si può creare anche in poco tempo: lo si è visto prima. Qualcuna di queste gare è, dunque, entrata a far parte del Pantheon delle classiche femminili?
Neanche per sogno: sono gare che non si disputano più e solo una di esse ha qualche attinenza con una delle one-day-race attualmente parte dell’UCI Women’s World Tour (l’analogo femminile del World Tour con ovvia necessità di riferimento al genere perché so’ donne). Mi riferisco alla prova australiana, l’Australia World Cup, che dal 2003 al 2008 verrà organizzata a Geelong, sede poi dal 2015 della Cadel Evans Ocean Road Race.
Lì dove non c’è una tradizione, la si può, però, ereditare: come il poker di Carolina Morace a Wembley diventa mitico perché mitici sono stati i confronti in quello stadio tra Inghilterra e Italia (maschile), così entrano direttamente nella “storia del ciclismo” le donne che vincono una classica che gli uomini corrono da più di cinquanta, ottanta, cento anni e che, finalmente, inizia a corrersi al femminile.
Ma, parafrasando Marco Giani -che si chiede perché fare quattro gol sul campo del Tavagnacco non debba essere altrettanto importante-, mi chiedo: perché per una ciclista non dovrebbe valere allo stesso modo, se non di più, vincere una gara che si disputa solo al femminile tipo il Trofeo Binda di Cittiglio?
Per valutare quali corse avrebbero più diritto a fregiarsi del titolo di classica femminile chiamo in causa quei criteri che al maschile si è visto fare la differenza tra “classica semplice” e “classica monumento”.
Numero di edizioni. Quando si parla di ciclismo su strada al femminile non ci si può certo imbattere in corse in linea con più di cento anni di storia alle spalle. Questo numero va tarato in base alla realtà di un movimento che l’UCI ha per lungo tempo ostacolato. Ebbene, il già evocato Trofeo Binda si è corso per la prima volta nel 1974, dal 2008 è inserito nel più importante circuito di gare femminili gestito dall’UCI e, a tutto il 2025, è arrivato alla 49° edizione. Si potrebbe obiettare che fino al 2006 non ha avuto lo status di gara internazionale, ma avete mai letto l’albo d’oro del Fiandre maschile? Tra il 1913 e il 1948 solo una volta non è stato vinto da un belga!
Lunghezza. La più lunga gara in linea dell’UCI Women’s World Tour nella stagione 2024 è la stata la Gand-Wevelgem, 171 km. Quest’anno è stata appaiata dal Fiandre: per entrambe 169 km. La prima Milano-Sanremo donne si è fermata a 156 km; la Roubaix femminile a 148 km, perché l’organizzazione è restia a inserire la foresta di Arenberg. Eppure la Gand-Wevelgem al maschile non ha lo status di monumento, a differenza delle altre tre gare citate.
Inserimento nel più importante circuito internazionale UCI. Sono tre le corse in linea che, tra Coppa del mondo femminile (1998-2015) e UCI Women’s World Tour (2016-), possono vantare una presenza ininterrotta da almeno venti anni: Freccia Vallone femminile, assente solo nel 1998, anno della sua prima edizione; il G.P. de Plouay féminin, adesso noto come Classic Lorient Agglomération, che è in calendario senza soluzione di continuità dal 2002; il Fiandre, che le donne disputano dal 2004 e che da alcuni anni ha tolto il riferimento al genere nella sua denominazione ufficiale. Tutte e tre le corse in questione sono controparte femminile di una gara maschile di classe 1.UWT, però, solo l’ultima è una monumento; la Freccia Vallone maschile un tempo rivaleggiava con la Liegi, ora ne è una anteprima; la gara bretone che è all’origine del G.P. di Plouay ha “Classic” nella sua attuale denominazione (Bretagne Classic Ouest-France), ma nessun ciclista la considera un obiettivo primario nella sua stagione.
A diciotto presenze consecutive si è fermata la Ronde Van Dremthe, costretta a segnare il passo nel 2025 per questioni finanziarie e perché quel periodo di marzo in cui si correva interessava alla nuova Milano-Sanremo donne. Neanche a dirlo, la gara neerlandese costituiva una eccezione, era una corsa molto più importante al femminile che al maschile, ma questo non l’ha resa agli occhi dell’UCI un patrimonio da preservare.
Montepremi. Nel 2025 Fiandre e Roubaix non hanno fatto differenza: 20mila € a Kopecky e a Pogačar nel primo caso, 30mila € a Ferrand-Prévot e Van der Poel nel secondo. La Sanremo, sì, molta: Wiebes ha guadagnato 2256 €, Van der Poel ne ha messi da parte 20mila, quasi nove volte di più!
Anche la Roubaix, nel 2021, aveva riservato lo stesso impari trattamento alla vincitrice (Deignan, premio di 1535 €) rispetto al vincitore (Colbrelli, 30mila €, 19 volte di più), sintomo che gli organizzatori avevano una scarsa opinione della professionalità delle cicliste. In quattro anni il gap si è colmato e, quindi, perché non sperare in un ravvedimento operoso della Sanremo? Ma se non dovesse accadere, perché dovremmo elevarla a rango di classica femminile? Solo perché alle donne è concesso di pedalare sul Poggio, lì dove poi passeranno i campioni?
Ad ogni modo, quanto accade al Fiandre non è isolato, nel senso che a partire dal 2023 tutte le nove corse organizzate tra febbraio e aprile da Flanders classic hanno parità di montepremi per uomini e donne6.
Binda e Lombardia.
Ravanando in rete, non sono riuscito a scoprire qual è stato il montepremi del Trofeo Binda nel 2025 e negli anni addietro. Sarebbe un dato importante, un modo per capire quanto questa sorta di ultimo avamposto di gare nate come femminili possa ancora resistere alla corrente e alla concorrenza di corse più ricche.
Purtroppo, però, temo che già adesso la vittoria in un Giro di Lombardia femminile venga da molti ritenuta più importante del successo nel Binda, benché la prima gara non si sia mai disputata, mentre la seconda ha cinquanta anni di vita.
Nell’immagine in evidenza: Trofeo Binda, 1974