La traversata a nuoto della Manica è l’impresa che ha avuto ed ha, per tutti i nuotatori di gran fondo, un fascino speciale, irresistibile, da cinquanta anni a questa parte…

si legge in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport il 7 agosto 1926. Difficile pensare che, in un’Italia in cui le donne non avevano ancora il diritto di voto, qualcuno si fosse già posto il problema del maschile universale. Eppure tra i  “nuotatori di gran fondo” citati nell’articolo non c’erano solo il «famosissimo capitano Webb», l’italo-argentino Enrico Tiraboschi o i meno fortunati Holmes e Holbein, che più volte avevano provato l’impresa e tutte le volte avevano dovuto desistere. C’erano anche alcune «famose ondine» e, anzi, a ben vedere, era proprio il completamento della traversata a tempo di record da parte dell’americana Gertrude Ederle il motivo per cui, per il quotidiano sportivo milanese, era stato necessario scriverne.

 Sotto: Gertrude Ederle all’arrivo sulla costa inglese

1. Walpurga von Isacescu (1852 ?-1925)

Freddo, ma piacevole e soprattutto rinvigorente. Il bagno fatto la mattina presto nelle acque novembrine di Brighton era descritto in questo modo dalla romanziera inglese Fanny Burney. Era il 1782 e, più che di una nuotata, si trattava di un’immersione, magari con l’utilizzo di un’apposita “bath-machine” che aveva la funzione di proteggere da eventuali sguardi indiscreti1.
Le prime sfide in acqua su distanze obbligate si sarebbero viste in Germania e in Gran Bretagna un po’ più in là, negli anni Trenta del XIX secolo. Le considerazioni fatte dall’autrice di Evelina contenevano, però, in nuce uno dei motivi per cui il nuoto avrebbe raggiunto una dimensione agonistica al femminile molto prima del ciclismo o della corsa: come disciplina sportiva, era funzionale al miglioramento delle condizioni fisiche e psichiche di coloro che la praticavano, ma non decostruiva il presupposto secondo cui alle donne era permesso cimentarsi solo in attività che ne esaltassero la grazia o che, comunque, non la intaccassero. Detto molto più prosaicamente, correre o fare gare in bicicletta senza sudare era impossibile; nuotare anche lunghe distanze senza dare l’idea di essersi sforzata a fondo, sì.

Certo, fa strano pensare che, quando nel settembre del 1900 la baronessa Walpurga von Isacescu provò senza successo ad attraversare la Manica, le donne in Gran Bretagna erano tenute a bagnarsi in porzioni di mare diverse da quelle riservate agli uomini, per non indurli in tentazione2. C’è, però, una ragione se in certi casi la parola “pioniera” è d’obbligo.
Figlia di un impiegato delle ferrovie austriache, Walpurga3 acquistò il “von” sposando a soli sedici anni il nobile rumeno Dimitri von Isacescu e andò a vivere a Bucarest. Rimasta vedova, tornò a Vienna con un titolo baronale, ma anche con la necessità di prendere il posto di lavoro lasciatole dal padre per guadagnare da vivere.

Fu in questo periodo che cominciò a praticare il nuoto di fondo. La sua prima impresa è datata 1899: una lunga nuotata nel Danubio da Bratislava a Vienna (61 km in sette ore). Il bis l’anno successivo (da Stein a Vienna, 77 km in otto ore) e da qui la convinzione di poter affrontare la Manica4. Fino a quel momento solo il capitano Matthew Webb era riuscito ad attraversare a nuoto i 33 km che separavano Dover da Calais, 21 ore e 45′ di lotta contro le correnti marine. Era il 25 agosto del 1875.
von Isacescu partì, invece, dalla costa francese, alle 7:30 del mattino del 5 settembre 1900, e dopo dieci ore in mare, in cui si era alimentata con brodo, uova e miele, desistette per il peggiorare delle condizioni atmosferiche. L’obiettivo Manica non uscì dalla sua mente, ma l’austriaca non si produsse in nessun altro tentativo. Continuò a dedicarsi ai fiumi, Senna, Tamigi e, ovviamente, Danubio, che navigò da Melk a Vienna nel settembre 1902 rimanendo 12 ore in acqua.
Noblesse oblige, la baronessa austriaca non volle mai rinunciare alla sua visione da sportiva amateur della pratica natatoria, negando ad essa una qualsiasi dimensione competitiva. Tanto che quando, nel giugno 1906, la star australiana Annette Kellerman le lanciò una sfida sul suo terreno, anzi sulle sue acque, quelle dell’amato Danubio, von Isacescu in pratica accettò… senza accettare. Si prestò, infatti, a una sorta di esibizione: lei e Kellerman coprirono a nuoto la stessa distanza, ma non partirono insieme, come in una vera sfida testa a testa; l’australiana si buttò in acqua per prima e fu per di più seguita dal suo allenatore che, posto su di un battello, la guidava anche nel percorso da fare; von Isacescu parti qualche minuto dopo e nuotò, invece, senza ausili esterni, perché – disse in modo presumibilmente sprezzante – conosceva bene la strada. Kellerman giunse al traguardo prefissato circa 25 minuti prima dell’austriaca e da questo si dedusse che aveva vinto la sfida.
Quel giorno le due nuotatrici si confrontarono effettivamente in acqua, ma in realtà le loro strade si erano già virtualmente incrociate perché, dopo lo sbarco in Europa anche la Australian Mermaid si era trovata a tu per tu con il Canale della Manica.

 [continua…]

A sinistra: Annette Kellerman; qui sopra: disegno apparso sul Penny Illustrated Paper, 15 Settembre 1900