La 19° edizione del Mondiale di nuoto si sarebbe dovuta svolgere a Fukuoka nell’estate del 2021. Pandemia e conseguente slittamento dell’Olimpiade estiva, prevista anch’essa in territorio giapponese, avevano consigliato  di spostare di un anno anche la manifestazione iridata, senza, però, cambiare sede.
Passano alcuni mesi ed ecco che, a gennaio 2022, Fukuoka chiede e ottiene un ulteriore spostamento (al 2023) e allora la FINA (la federazione internazionale), per evitare di saltare di fatto un’edizione del suo Mondiale, chiama Budapest, sempre pronta a subentrare1. Tutto questo per dire che quale luogo migliore dell’Ungheria di Viktor Orban poteva trovare la FINA per riunirsi in Congresso Straordinario e deliberare l’esclusione delle atlete transgender dalle proprie competizioni? Se poi consideriamo che da un annetto il presidente della federazione che sovrintende a nuoto, tuffi e pallanuoto è Husain al-Musallam, segretario generale del Comitato Olimpico del Kuwait, paese in cui non sono riconosciute le coppie gay e le persone transessuali non possono cambiare legalmente sesso, il cerchio si chiude.

Ok. La mia è una provocazione che può apparire gratuita. In Italia la questione delle atlete transgender è percepita come marginale e spesso chi la affronta si sente autorizzato a esprimere delle opinioni basate sulla propria percezione (chi è stato uomo è comunque più forte, potente, etc. di chi è nata donna), senza considerare che la comunità scientifica è ben lungi dall’avere una posizione univoca e documentata che confermi tale percezione2.
In realtà, negli Stati Uniti tanto marginale rispetto all’agenda politica non lo è, se è vero che Trump, nella sua prima uscita da ex presidente, nel febbraio 2021 si scagliò contro il “pericolo” delle transgender M2F nello sport americano e accusò Joe Biden di promuovere politiche che distruggerebbero lo sport femminile. In particolare, con la solita tendenza a fornire dati non veri, parlò di sollevamento pesi, disciplina che avrebbe registrato a Tokyo la presenza della prima atleta transgender nella storia olimpica, la neozelandese Laurel Hubbard.

Negli Stati Uniti di atlete transgender e sport si è tornato a parlare a metà marzo di quest’anno, a seguito della vittoria di Lia Thomas3 delle 500 yd stile libero ai campionati universitari NCAA di nuoto di Atlanta (e la fretta della FINA a legiferare in materia si può forse spiegare in questa ottica). Un successo che, a dispetto di quanto si possa credere, non ha determinato solo polemiche. Se, infatti, fuori dal palazzetto in cui Thomas ha gareggiato, ha inscenato proteste colei che era arrivata 17° in batteria, l’ungherese Réka György4, molto interessanti sono state le dichiarazioni rilasciate da Erica Sullivan, classe 2000, terza nella gara vinta da Thomas e argento nei 1500m stile libero a Tokyo 2020:

Come donna di sport, posso dire di sapere quali siano le vere minacce per le donne nello sport: abusi sessuali e molestie, retribuzione inferiore [a quella degli uomini] e una mancanza di donne nei posti di comando. Le ragazze e le donne transgender non sono in nessuna parte di questa lista

Ma torniamo al Congresso Straordinario di Budapest. Chiusura totale è il termine che più si addice a quanto deliberato dalla FINA5. Non si può definire altrimenti una norma che chiede, come condizione per l’ammissione di atlete transgender a gare ufficiali, l’aver completato la transizione di genere entro i dodici anni di età,  individuato come momento in cui si iniziano a sviluppare gli ormoni maschili. Una condizione fuori dal mondo. Come se la decisione di cambiare sesso non fosse un lungo percorso psicologico prima che fisico che alcuni/e percorrono, ma una semplice comoda scappatoia per diventare campionesse per i nuotatori di livello mediocre. 

Per non essere accusato di voler escludere completamente dalla pratica agonistica le persone che effettuano transizioni M2F6 il presidente al Musallam ha dichiarato che per loro verranno organizzate delle competizioni ad hoc. Ghettizzazione o riedizione in salsa finto inclusiva delle “giornate antropologiche” di Saint Louise 1904?
I nuovi criteri introdotti dalla norma e la proposta delle gare a parte sono stati definiti discriminatori, dannosi e privi di fondamenti scientifici da chi difende i diritti LGBT. Anche se il concepimento di una categoria di genere diversa dalle due attualmente riconosciute, uomo e donna, un impercettibile bug nel perfetto binarismo del mondo CIO la potrebbe introdurre. E sarebbe un precedente.
Poi, se si cominciasse a pensare a una soluzione tipo compensazione di tempi come quelle viste in alcune categorie paralimpiche, magari si potrebbero fare dei passi avanti in una direzione davvero più inclusiva. Intanto, purtroppo, già un’altra federazione, la International Rugby League, ha seguito la FINA sulla strada del completo ban delle atlete trangender.

Nella immagine in evidenza: il podio delle 500 yd ai campionati NCAA del 2022

Fonti: FINA blocks transgender swimmers from female competition