La resa dei conti in casa Francia è iniziata quando, a fine febbraio 2023, in una intervista rilasciata a RMC Sport, la capitana Wendie Renard ha detto che, per tutelare la sua salute mentale, non avrebbe più vestito la maglia della Nazionale. Consapevole del disagio provato nel doversi relazionare con uno staff che è sembrato impermeabile alle sue richieste, la centrale dell’Olympique Lione ha dichiarato:

Sto cercando di far cambiare alcune cose affinché si possa essere più performanti a livello individuale e collettivo e riscontro che hanno difficoltà a comprendere il mio messaggio. Non voglio più preoccuparmene alla mia età, ho abbastanza esperienza.

Nonostante si sapesse che tra lei e l’allenatrice Corinne Diacre non correva buon sangue da un po’ (forse addirittura da quel Mondiale di casa del 2019 terminato prematuramente ai quarti), la 32enne Renard non ha voluto far pesare le sue 140 e più presenze con le Bleus e non ha messo sul piatto una sorta di aut aut tipo «O io, o lei». Ha detto di volersi far da parte, anche se il Mondiale che inizierà a luglio potrebbe essere l’ultimo della sua carriera.
Il fatto è che l’annuncio della capitana ha immediatamente dato il La a una serie di altre rinunce alla maglia della Nazionale: dapprima Marie-Antoiniette Katoto e Kadidiatou Diani (tra l’altro, in forza al Paris Saint-Germain e, quindi, neanche a dire che lo hanno fatto per questioni di affinità di club), poi anche Perle Morroni e Griedge Mbock Bathy.

Il malcontento covava sotto la cenere da tempo, questo è evidente. Però, da un po’, a guidare la Fédération française de football (FFF) c’è un presidente ad interim, Diallo, e non c’è più Noel Le Graët, che ha sempre difeso Diacre e ad agosto 2022, al termine dell’Europeo che aveva visto le francesi raggiungere le semifinali, ne aveva prolungato il contratto fino a tutto il torneo olimpico di Parigi 20241. Katoto e le altre (e forse anche Renard) hanno, dunque, scelto il momento giusto per fare la loro mossa. Tanto che il 9 marzo la FFF e Diallo hanno convocato Diacre, l’hanno ascoltata e poi hanno deciso di licenziarla2.
Ah, per inciso, a metà gennaio 2023 erano state delle dichiarazioni irrispettose nei confronti di Zidane («Se mi ha chiamato? Certo che no, non gli avrei nemmeno risposto al telefono»)3 e le accuse di molestie da parte della procuratrice Sonia Souid («L’unica cosa che voleva è che condividessimo il letto, mi vedeva solo come ‘due tette e un culo’») a convincere la FFF a sospendere Le Graët, che ne era a capo dal 2011 e che giusto a novembre aveva definito il Qatar paese amico, facendo chiaramente intendere da che parte sarebbe stato in caso di proteste dei Bleus al Mondiale. Un’altra persona, oltre Diacre, di cui Renard, Katoto e le altre potrebbero, dunque, non sentire la mancanza…

Visto il poco tempo passato tra dichiarazioni di Renard e licenziamento di Diacre non si può valutare quanto effettivamente le “ribelli” fossero davvero disposte a rinunciare a prender parte al Mondiale down under. Di certo, le giocatrici hanno agito mostrando la consapevolezza che l’approssimarsi di una rassegna sulla cui crescita in fatto di immagine e fatturato la FIFA sta investendo tanto (e non sempre in maniera lodevole), era l’occasione di far sentire in federazione di più la loro voce.
Del resto, una situazione paragonabile si è vissuta e si sta ancora vivendo all’interno di altre due Nazionali, attese come protagoniste in Australia e Nuova Zelanda questa estate: il Canada, campione olimpico in carica, e la Spagna della due volte Pallone d’oro Alexia Putellas.

Parto dalle iberiche, perché la loro protesta dura da più tempo ed è simile a quella messa in piedi dalle francesi. Anche qui si parla, infatti, di indisponibilità a essere convocate data da un bel numero di atlete (quindici giocatrici tra le più forti, tra cui molto Barcellona e nessuna del Real Madrid4) finché la RFEF, la federazione spagnola, non avrebbe provvisto a rimuovere dall’incarico il ct Jorge Vilda. Era il settembre del 2022 e, se consideriamo che alla Coppa delle Nazioni, torneo amichevole internazionale ospitato dall’Australia a febbraio, nessuna di queste giocatrici era tra le convocate, vuol dire che la questione è tutt’altro che risolta.
È importante sottolineare come i motivi alla base dell’ammutinamento contro Vilda (difeso strenuamente dalla RFEF e ancora lì al suo posto) non siano di natura tecnica: è l’estremo controllo, al limite della violazione della privacy, che il ct è solito avere nei confronti delle atlete che allena, che ha spinto le quindici ha non volerne più sapere della Nazionale, per ora. E per loro non sembra esserci Mondiale o “crescita professionale” che tenga, rispetto al rispetto che esigono in quanto persone/donne in ambito professionale.

E ora il Canada. La protesta delle nordamericane ha come slogan Enough is enough ed è incentrata sulla richiesta di avere riconosciute parità di trattamento e opportunità rispetto ai loro colleghi maschi, anche perché, a livello di risultati, l’oro olimpico al femminile di Tokyo 2020 vale molto più delle qualificazione ottenuta al Mondiale dagli uomini dopo 36 anni, visto che poi in Qatar sono arrivate tre sconfitte in tre incontri. La pentola scoperchiata da Fleming, Buchanan, Grosso e compagne ricorda molto da vicino quanto denunciato dalle cugine statunitensi negli anni scorsi: mancanza di un equal pay tra calciatori e calciatrici e discrepanze nei finanziamenti da parte della federazione tra i programmi nazionali maschili e quelli femminili. A un match della SheBelievesCup, altro torneo amichevole disputato nella finestra di febbraio, le canadesi si sono presentate con la maglia d’allenamento, color viola, «colore storicamente associato agli sforzi per ottenere la parità di genere», diceva il comunicato. Il match era contro lo U.S. Women’s National Team, che ha ovviamente solidarizzato con loro (prima di batterle 2-0 sul campo).
A proposito di parallelismo con la protesta francese, anche qui ci sono state delle dimissioni, quelle del presidente di Canada Soccer, Nick Bontis, comunicate il 1° marzo e accompagnate da queste parole:

Abbiamo il grande potenziale di firmare uno storico accordo di contrattazione collettiva. Una volta firmato, sarà un accordo che distinguerà la nostra nazione praticamente da ogni altra federazione membro della FIFA.

Parole suggestive. I prossimi mesi ne chiariranno il significato, forse.