A più di un mese dalla sconfitta con il Sud Africa che aveva sancito la fine al primo turno dell’avventura Mondiale della Nazionale femminile di calcio da lei guidata, Milena Bertolini si è sfogata e ha raccontato ad alcune testate giornalistiche la sua versione dei fatti.1 In modo più articolato, visto che già a inizi agosto aveva risposto a una lettera scritta da molte delle azzurre che erano scese in campo contro le sudafricane.
Tra i concetti espressi dall’ormai ex ct due frasi hanno ottenuto spazio sui media che hanno ripreso la notizia: «Aveva ragione Murgia quando diceva che servono due donne per batterne una» e «Un ct uomo è ritorno al patriarcato», in riferimento alla nomina di Andrea Soncin come suo successore.

Le parole sono importanti e, pertanto, prima di affrontare qualsiasi analisi è utile riprendere anche alcuni estratti della lettera delle calciatrici e altre frasi meno d’impatto usate da Bertolini. Le calciatrici, ad esempio, avevano scritto: «Non abbiamo mai avuto paura, ma solo sentito poca fiducia», «avremmo potuto ottenere risultati diversi se solo fossimo state messe nelle condizioni di poterlo fare», frasi che probabilmente non tiravano in ballo la sola direzione tecnica, ma anche i vertici federali. Da parte sua, l’ex ct già ad agosto era entrata nel merito delle sue scelte tecniche e aveva parlato di protagonismo di alcune non subordinato al bene della squadra (tra le “senatrici” non c’era stata «la consapevolezza e l’umiltà di saper lasciare il proprio posto», leggasi, alle più giovani Dragoni e Beccari). Nell’intervista di metà settembre, Bertolini ha, invece, dato una visione più d’insieme: la FIGC le aveva già comunicato a novembre 2022 che non le avrebbe rinnovato il contratto e lei, ad aprile 2023, aveva parlato con le calciatrici del gruppo “storico” spiegando che ci sarebbero stati inserimenti e che loro avrebbero potuto svolgere un lavoro fuori dal campo. Poi, a domanda sulla futura gestione tecnica Soncin, ha preferito soffermarsi sul fatto che l’onda lunga del bel Mondiale del 2019 non è stata cavalcata dalla federazione («c’è il professionismo», ma «la progettualità è un’altra cosa […] E la promozione della Nazionale? Noi abbiamo fatto partite in casa in cui erano molti di più i tifosi avversari!»).       

Anche se parte delle frasi qui riportate hanno come destinatarie incrociate calciatrici e allenatrice, il ruolo svolto dal maestro burattinaio FIGC appare evidente. Tanto che, in merito alla gestione della Nazionale femminile, si potrebbe parlare di “patriarcato senza soluzione di continuità”, più che di un suo ritorno (come dice ad effetto Bertolini per rimarcare il contributo da lei dato).
La scelta di affidare a Soncin la panchina è, infatti, di stampo paternalistico. La federazione non voleva una donna per questioni di “alternanza di genere“, si leggeva già quest’estate. Alternanza che vale solo per la panchina femminile, ovviamente, e che in realtà mascherava il preconcetto che con l’uomo a fare la voce grossa nello spogliatoio le ragazze hanno più timore, si sentono più sicure, vanno poi d’accordo. Preconcetto alimentato, ahimé, dalla stessa ex ct con quella citazione di Michela Murgia.
Ad ogni modo, che anche Evani, Lombardo, Gautieri, Stramaccioni fossero stati considerati eleggibili in virtù della concentrazione di testosterone e non della conoscenza del calcio al femminile, è palese vista la nomina di Viviana Schiavi a vice-allenatrice di Soncin. Come del resto ha scritto LFootball nei giorni precedenti la prima convocazione del nuovo ct: 

Decisivi per queste scelte [di Soncin] saranno i consigli di Viviana Schiavi che conosce benissimo sia le veterane, per averci giocato insieme, che le giovani per averle allenate e visionate negli ultimi anni da ct delle giovanili.  

Intanto, nella speranza che le donne guidate dall’uomo possano tornare a portare in alto il brand Nazionale italiana, la federazione sembra aver scelto il basso profilo: per l’esordio in casa nella neonata UEFA Women’s Nations League contro la Svezia si va, infatti, nel monumentale stadio Patini di Castel di Sangro, da ben settemila posti2
Anche questo è patriarcato, perché significa non voler promuovere il calcio al femminile, non voler cercare palcoscenici più adatti per la sfida contro la terza squadra al mondo, magari permettendo a più gente possibile e più bambine e ragazze possibili di poter vedere dal vivo un match di cartello, valido per una competizione ufficiale. E pensare che a marzo 2023, all’Olimpico, a vedere Roma-Barcellona di Women’s Champions League erano in 40mila.
Su questo aspetto sembra esserci convergenza tra le parole di Bertolini e quelle delle calciatrici, che lamentavano di non esser state messe in condizione dall’ambiente che le circondava. Del resto, ad accompagnare la Nazionale in Nuova Zelanda non c’era nessuno della FIGC, chiaro sintomo di quella destrezza che permette di salire sul carro al momento giusto (vedi Francia 2019) e di scenderne appena le cose cominciano ad andar male e, quindi, ben prima che arrivi la catastrofe.

E, qui, vengo al punto più delicato. Le cose in casa azzurra avevano cominciato ad andar male all’Europeo del 2022 e mi riferisco all’aspetto squisitamente tecnico. L’Italia ci era arrivata con tante aspettative3 e ne era uscita con una sonora lezione ricevuta dalla Francia e con l’incapacità di ritrovarsi nelle due partite contro le meno quotate Islanda e Belgio. La FIGC avrebbe potuto destituire Bertolini in quel momento, ma ha aspettato la fine delle qualificazioni al Mondiale (novembre 2022) per comunicare alla ct che, a rassegna iridata conclusa, anche il suo ciclo si sarebbe concluso. In questo clima, immagino, di messa in discussione innanzitutto di se stessa, vista la fiducia a scadenza, Bertolini ha ritenuto oppotuno inserire nuovi elementi giovani in formazione, ma lo ha potuto fare solo ad aprile, in occasione della prima amichevole giocata nell’anno solare 2023 contro la Colombia. Scelta lecita, che non ha, però, portato al risultato sperato e anzi ha di fatto reso impossibile la gestione dello spogliatoio. Anche perché le azzurre si sono riviste e hanno rigiocato insieme un match ufficiale solo il 1° luglio, contro il Marocco, a venti giorni dall’esordio al Mondiale. E qui ci vedo l’ennesima noncuranza da parte della federazione e sono convinto che anche allenatrice, staff, calciatrici giovani e senatrici la pensavano allo stesso modo in merito al poco interesse mostrato dai vertici federali verso di loro. Quanta voglia avevano di far vedere sul campo che quel professionismo conquistato a parole mascherava una realtà che vede l’impegno al femminile decisamente ridotto da parte della FIGC? Quanta paura avevano di sentirsi dire, se fallivano, che il professionismo non se lo meritavano?
Solo che un comune senso di abbandono o un comune risentimento verso qualcosa/qualcuno non crea (o ricrea) in automatico un gruppo in grado di lavorare insieme per uno stesso obiettivo. Si pensi alle campionesse del mondo della Spagna e alla tanta strada che hanno dovuto percorrere: in quindici avevano preso una posizione dura contro il ct Jorge Vilda, chiedendone la destituzione; questo non era bastato e, alla fine, alcune di loro, tra cui proprio Hermoso, avevano deciso di accettare lo stesso la convocazione, salvo poi, a Mondiale vinto e insieme con tutte le altre compagne, alzare il tono delle richieste con l’obiettivo di far pagare caro, far pagare tutto alla Real Federación Española de Fútbol, al suo ormai ex presidente Rubiales, a Vilda e a tutto lo staff.

Ora, il gruppo del Mondiale 2019, che di lotte ne aveva condotte, era ben conscio di quanto difficile fosse ottenere qualcosa in un mondo come quello calcistico fortemente impregnato di una cultura patriarcale a tutti i livelli. Se, però, Bertolini non convoca per questioni tecniche una come Sara Gama, capitana e portavoce nel 2019 di tutte le richieste di avanzamento professionale; o se per la partita con la Svezia lascia in panchina un’altra capitana come Girelli, autrice del gol vittoria in extremis contro l’Argentina, e schiera al suo posto la diciottenne Beccari come falso nueve; fare sì che quel gruppo continui a essere unito diventa più complesso. Ed ecco che due o più donne si mettono insieme per farne fuori una e tutte e tre insieme dare ragione a chi non aspetta altro per denigrarle e consolidare la propria posizione di potere.