Neanche il tempo di archiviare il quarto posto all’Europeo, che per la Nazionale femminile di volley arrivano le qualificazioni olimpiche, vero crocevia della stagione che porta a Parigi 2024. Neanche il tempo di spegnere le discussioni sul modo in cui il ct Mazzanti ha utilizzato Paola Egonu nel corso della manifestazione continentale (soprattutto, nei match contro Turchia e Olanda), che ecco arrivare la notizia che l’opposta ex Novara, Conegliano e Vakifbank non è stata convocata. Una che, per dire, nell’ultima finale di Champions League ha messo giù 40 palloni in quattro set e ha attaccato con il 65%. La rottura con il ct è insanabile, la federazione ha evidentemente deciso di scaricare lei e non lui, ma se ne esce con un comunicato striminzito e parla di scelta concordata e di necessità di riposo.
Si discute di Egonu e di Mazzanti. Si discute anche delle altre azzurre Chirichella, Bosetti, De Gennaro: pare che lo scorso anno, al termine del Mondiale, avessero chiesto al presidente federale di affidare la squadra a un altro allenatore. Invece, non si discute più di tanto di colei che nella prima settimana di Europeo (quando le avversarie si chiamavano Bosnia, Svizzera e Spagna) era salita alla ribalta: Ekaterina Antropova.

Convitata di pietra in questa situazione davvero incresciosa, la giovane opposta avrà il difficile compito di guidare l’attacco azzurro nel girone all’italiana che vale il pass olimpico per le prime due classificate e in cui almeno gli Stati Uniti o la Polonia padrona di casa andranno sconfitte. Nonostante le simpatie per Egonu e i sempre maggiori dubbi su Mazzanti, spero che le cose vadano bene.1 Non è, però, di questioni tecniche che voglio parlare, non ne sarei in grado. Voglio tornare su “Kate” Antropova perché la sua partecipazione all’Europeo è stata dettata da una precisa scelta federale e avallata dalle istituzioni, un percorso che ha molti più punti in comune di quanto si possa credere con quello di Melissa Vargas, la cubana naturalizzata turca che ha trascinato le sue nuove connazionali alla vittoria del titolo continentale.

Sul campo le due si sono incrociate in occasione della semifinale, persa dalle azzurre, nonostante fossero in vantaggio due set a uno e 18-14 nel quarto set, quando Vargas si è “svegliata” e nessuna a muro o in ricezione è riuscita più a tenerla. L’opposta del Fenerbahçe era lo spauracchio di tutte le avversarie (per ovvi motivi) e il giorno prima di Italia-Turchia il sito di Repubblica la presentava come «la campionessa strappata da Erdogan a Cuba». Titolo eloquente, sottotesto dal retrogusto accusatorio: come se il presidente turco in persona avesse fatto di tutto per far sì che l’ex nazionale cubana vestisse al più presto la maglia rossa con la mezzaluna!
Nell’articolo, in realtà, si scopre che Vargas, in Turchia dal 2018, non avrebbe potuto giocare per Cuba fino al 2022, perché squalificata dalla sua federazione,2; che l’iter per ottenere la nuova nazionalità è partito nel 2019; che il momento in cui Erdogan ha stretto la mano alla pallavolista conferendole la cittadinanza turca con lo sguardo è del 2021; che solo nel 2023, dopo i due anni di stop previsti dalla federazione internazionale, Vargas ha potuto debuttare con la Turchia. 

E Antropova? L’ottusa legge che non permette neanche a chi fa tutte le scuole in Italia di acquisire in modo automatico la cittadinanza, se nato altrove, non poteva certo garantire a una ragazza, arrivata dalla Russia quando aveva quindici anni, di ottenere il certificato di italianità al compimento del diciottesimo anno. Una convocazione da parte della Nazionale russa Under-16 non accettata da Antropova, ma risultante negli archivi della CEV (la federazione europea), ha poi complicato l’iter per la cittadinanza sportiva, che le è stata riconosciuta solo dopo una sentenza del TAS di Losanna arrivata a fine marzo 2023.3 Infine, a inizi agosto, con l’Europeo alle porte, un’apposita Delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno Matteo Piantedosi, ne ha deliberato il conferimento della cittadinanza italiana a tutti gli effetti «per gli ottimi risultati sportivi conseguiti nella sua disciplina». Che poi sarebbero una Challenge Cup e una CEV Cup vinte con la Savino del Bene Scandicci e il titolo di migliore giocatrice nei due tornei.

La sensazione che il tutto sia stato fatto in velocità per poter utilizzare Antropova già all’Europeo 2023 è tanta. Anche perché la titolare Egonu aveva dato “problemi”. Nessun giornalista ha, però, scritto che il ministro Piantedosi o la presidente Meloni hanno strappato la giovane opposta alla Russia e a Putin. Evidentemente, qualsiasi cosa fatta per accrescere il prestigio internazionale della propria nazione, in questo caso in ambito sportivo, è sempre ben accetta; se la stessa cosa la fanno altri si storce il naso. Mi viene in mente Atlanta 1996: dalla Gazzetta dello Sport arrivarono lodi e felicitazioni per le medaglie di Fiona May e Josefa Idem, divenute italiane da poco per matrimonio, ma non appena il ciclista Maximilian Sciandri colse il bronzo nella prova su strada con la maglia del Regno Unito la rosea titolò indignata: «Sciandri, questa non dovevi farcela».

Di fondo c’è, però, una questione che va ben al di là del modo che la stampa usa per narrare questo o quel cambio di nazionalità: la prassi di conferire la cittadinanza per opportunità, mascherandola sotto la dizione “meriti speciali”, è una conseguenza delle politiche di non inclusione e serve ad alimentare l’idea che la cittadinanza stessa debba essere un premio, non un diritto acquisito vivendo e magari studiando o lavorando per tanti anni in un paese diverso da quello in cui si è nati o nate. Se poi quei meriti speciali sono di natura sportiva, il paese che elargisce questo premio ha tutti gli interessi a che il procedimento sia il più veloce possibile, affinché la persona che ne è destinataria possa al più presto indossare la maglia della Nazionale nei contesti più prestigiosi. E magari vincere. 

Appendice:
Da una veloce ricerca risulta che hanno ricevuto per decreto la cittadinanza italiana per meriti sportivi: il canoista Nicolae Craciun (2019), il lottatore Abraham Conyedo (2019), la canoista Stefanie Horn , il fondista Yassine Rachik (2015). Per i primi tre il conferimento della cittadinanza sembra legato alla possibilità di partecipare alle Olimpiadi, visto che tutti avevano comunque già in precedenza vestito la maglia azzurra per Mondiali e/o Europei. Per Rachik, che guarda caso era arrivato in Italia quando aveva 11 anni ed è l’unico dei quattro citati a provenire da un paese che viene normalmente associati all’immigrazione (nella fattispecie il Marocco), la cittadinanza e la possibilità di gareggiare con la maglia azzurra in sede internazionale è arrivata solo dopo la conquista di 21 titoli nazionali tra fondo, mezzofondo e maratona.