La maratona delle donne: seconda puntata 

La greca Stamata Revithi era stata la prima donna a provare a correre la maratona. Anzi, aveva provato a partecipare alla prima maratona della storia dell’atletica, quella della I Olimpiade. Gli organizzatori non le avevano permesso di prender parte alla gara il 10 aprile 1896 e lei, il giorno dopo, aveva percorso a piedi la distanza da Maratona ad Atene. Poverissima e per questo abituata a fare grandi spostamenti sulle proprie gambe, Revithi aveva chiesto di iscriversi alla competizione perché le avevano detto che chi vinceva sarebbe diventato ricco. Questo narra Tarasouleas sulla rivista ufficiale del CIO in un pezzo del 1997 che sembra un racconto più che un articolo di ricerca scritto da uno storico che si occupa di Olimpiadi. Ad ogni modo, è abbastanza certo che dietro la richiesta della trentenne greca ci fosse il tentativo di soddisfare bisogni primari piuttosto che la volontà di rivendicare per le donne l’accesso alla pratica sportiva della corsa su lunghe distanze. Anche perché, a fine Ottocento, il concetto stesso di manifestazione sportiva come palcoscenico per mostrare al mondo capacità fuori dal comune era in via formazione e proprio Atene 1896 avrebbe contribuito a far compiere alla maratona il primo passo in tale direzione.  

Se alla storia di Stamata Revithi è stata restituita memoria solo di recente, ancor meno si è scritto della francese Marie-Louise Ledru, che nel 1918 percorse i 40-42 km del Tour di Parigi in 5h40′ circa ed è per questo la prima donna ad aver portato a termine da concorrente ufficiale una competizione assimilabile alla maratona. 
Una foto, comparsa in prima pagina su L’Auto, il quotidiano diretto da Henri Desgrange che organizzava l’evento, ce la mostra al nastro di partenza, con il numero 171 ben visibile sul petto e una lunga gonna, mentre gli altri concorrenti sono tutti in pantaloncini1. Nei giorni precedenti lo stesso giornale l’aveva presentata come “Audax pédestre” 100 km perché aveva partecipato nel 1907 alla Rouen-Parigi e aveva concluso in 16 ore i 132 km previsti dal percorso2
Ledru era, dunque, una amateur non completamente sconosciuta all’ambiente sportivo, anche se -a dire il vero- la pratica di partecipare a lunghe escursioni a piedi (nota in inglese come pedestrianism) va considerata una antenata della marcia sportiva più che della corsa su lunghe distanze. Del resto, come pretendere che la francese fosse davvero in grado di correre, vista la poco idonea mise indossata!

Ad ogni modo, a risultare iscritta alla gara, non era la sola. Lo avevano fatto anche la signora Hutinot, «une des nos plus gracieuses marcheuses», e la signora Carbonnier, Audax pédestre 150 km e vincitrice nel 1915 della Parigi-Bernay. Anzi, sempre L’Auto ci informa che M.me Bessonneau, consorte di un noto finanziatore del club sportivo Femina Sport, aveva messo in palio un premio per la prima concorrente che fosse arrivata al traguardo ed era questo il motivo per cui il Tour di Parigi aveva anche una categoria femminile3.
Abituati a leggere di una Revithi cui venne impedito di gareggiare o di donne che si dovevano travestire da uomini per partecipare a competizioni loro vietate, è sorprendente pensare che nel 1918 una ragazza poté, invece, cimentarsi senza problemi in una maratona e classificarsi 38° al termine dei 40 km e più del percorso, battendo anche «buoni nomi del sesso forte», come lo stesso quotidiano organizzatore aveva ampiamente previsto4.
Paradossalmente, però, sono stati propri gli ostacoli non ritrovati sul proprio percorso a fare della vicenda di Marie-Louise Ledru una storia non molto interessante da ricordare e tramandare.
Anche perché immagino che, quando al Tour di Parigi, negli anni successivi, nessuna Madame ha messo in palio un premio per la categoria femminile, agli organizzatori non è sembrato necessario estendere la partecipazione alle donne e far sì che ad ogni edizione qualche “graziosa marciatrice” partecipasse5.
  

Nota: La IAAF (ora World Athletics) non riconosce il primato di Ledru come prima migliore prestazione mondiale nella storia della maratona femminile, cosa che, invece, fa la ARRS (Association of Road Racing Statisticians)

Puntata successiva: Violet Piercy, la pioniera che non fu presa a esempio