Nulla di più facile di un fucile di guerra: una breve lezione e tutti possono diventare tiratori. Tanto che alla gara della Gazzetta […] porterà un soffio di gentilezza e di grazia un gruppo di signore e di signorine. È la prima partecipazione dell’eterno femminino milanese ad una virile gara di armi

Autunno 1914. L’Europa è in guerra già da alcuni mesi e la sensazione che, a breve, pure il Regno d’Italia lo sarà, risulta acuita sfogliando Lo Sport Illustrato, supplemento mensile della Gazzetta dello Sport. Se, infatti, il numero di settembre ha proposto un approfondimento su «Armi ed armamenti della guerra aerea» e un po’ di foto con fucile de «I nostri campioni sotto le armi», ecco che il primo articolo dell’edizione di ottobre è dedicato al tiro a segno, con tanto di lodi per svizzeri, tedeschi e inglesi, che tengono in gran conto la disciplina.
Ci sono immagini che spiegano le tre posizioni regolamentari e il fine del pezzo è principalmente pubblicitario, visto che la “rosea” sta organizzando a Milano una gara «a base largamente popolare» a cui parteciperanno anche componenti del Gruppo Tiratrici Milanesi. Cionondimeno, fa un certo effetto veder diramato, così, a mezzo stampa un accalorato e diffuso invito a imbracciare il fucile e a impratichirsi in un momento in cui il Belgio, nonostante la sua proclamata neutralità, sta soffrendo l’invasione dei carri tedeschi. Invito evidentemente rivolto anche alle donne.

Girando pagina ci si imbatte, infatti, in una foto che riproduce uno dei «campi femminili di tiro» che si possono incontrare in Inghilterra. In Italia, invece, «l’avversione delle donne per le armi» è nota, si legge nel commento.

Date ad una signora una rivoltella carica: essa – in preda ad orgasmo che talvolta appalesa la paura e l’angoscia – o la lascerà cadere o la getterà lontano in modo da provocare uno scatto d’arma.

Stereotipo allo stato puro, come se l’immagine di quelle tiratrici inglesi che, stese a terra, sparano con «fucili a ripetizione di portata limitata» non smentisse essa stessa l’idea che solo gli uomini sono in grado di maneggiare le armi da fuoco. Anche perché «che le inglesi siano valenti tiratrici lo dimostrano i bersagli completamente forati nella parte centrale».

Ad ogni modo, fotografia e relative considerazioni generano la curiosità di capire quale ricaduta, secondo Lo Sport Illustrato, potrebbe avere una maggiore diffusione della pratica del tiro a segno femminile. Ebbene, la prima è legata a un altro giudizio di valore: le donne che di notte rimangono sole in casa sono attanagliate dalla paura e, quindi, se possedessero un’arma che sanno usare si sentirebbero più tranquille.
Il secondo vantaggio è, invece, espresso in modo decisamente contorto e riguarda i campi di battaglia. Subito mani avanti, «nessuno pensa esercitando la donna alle armi, il formare con esse reggimenti di combattenti»: una donna che ha più familiarità con le armi e gli spari potrebbe meglio svolgere il suo lavoro da infermiera, come già accade sui «campi insanguinati di Francia», che vedono spesso crocerossine passare «impavide sotto il fuoco, curando il carico di carne straziata». Lavoro di cura, dunque, e Regno delle Amazzoni confinato a «poetica fantasia di epica femminile».
Non c’è, infine, alcun riferimento a eventuali ricadute in ambito sportivo. Del resto, il tiro aprirà alle donne in sede olimpica solo a partire dal 1968, permettendo ad alcune di loro di partecipare congiuntamente agli uomini nelle specialità dello skeet e della fossa olimpica, e solo nel 1984 ci saranno le prime gare di tiro a segno femminile (e la prima medaglia azzurra con Edith Gufler). Anche se, a dire il vero, nella confusa II Olimpiade, quella di Parigi 1900, che fu di fatto fagocitata dall’Esposizione Universale, alcune donne parteciparono a gare di tiro in cui non vigeva il vincolo di genere e che non furono ex post considerate olimpiche dal CIO. Lo Sport universel illustré definì queste tiratrici «fanatiques de la petite carabine», perché in fondo di una donna che in autonomia prendeva in mano un fucile era sempre meglio diffidare…

Fonte principale:  Lo Sport Illustrato, 20 ottobre 1914