Bella può essere una partita, bello un gesto atletico, bella l’atmosfera che un evento sportivo reca con sé. Ad ogni sport è associato un concetto di bellezza, ma a esserne davvero schiave sono le discipline in cui le valutazioni dei giudici determinano il risultato finale. Prendiamo il pattinaggio su ghiaccio. Anche chi – come il sottoscritto – non riesce a distinguere un filo interno da uno esterno, un Loop da un salto puntato, una sequenza passi di livello quattro da una considerata facile, nel vedere le gare di artistico si sente autorizzato a esprimere giudizi personali e a lamentarsi se la coppia che è piaciuta di più non ha vinto o è addirittura finita fuori dal podio. 

La stessa sensazione di legame a doppio, triplo filo con la bellezza l’ha offerta il Big Air femminile del freestyle all’Olimpiade di Pechino appena conclusa. Una bellezza declinata a più livelli. 

Allo Shougang Park le cose funzionavano così: le atlete si buttavano in picchiata sugli sci per una ottantina di metri, salivano su una rampa lunga venti e staccavano nel vuoto producendosi in evoluzioni varie con nomi rigorosamenti inglesi, tipo double 1440 grabbato in melon. Poi, ove possibile, atterravano dalla parte giusta.

La bellezza era già intrinseca nel gioco stesso che è sport, ma anche e soprattutto show: come ha scritto il New York Times, la specialità “is the most beautiful, insane, stupid, dangerous, death-wishing, insane, and beautiful sport ever perpetrated on innocent spectators”. Poi, come nel caso del pattinaggio di figura, l’impressione di bellezza che il gesto atletico lasciava nei giudici era misura della prestazione delle freestyler, contestualmente allla correttezza nell’eseguire le evoluzioni prefissate. 

C’erano, però, altre due bellezze in campo. In primis, quella della vincitrice, la 18enne Ailing Gu. In lei c’è qualcosa che va al di là della bravura di saper conciliare attività sportiva, carriera da modella e passioni extra (gira in rete un video in cui suona il pianoforte all’aeroporto). Il suo volto sorridente sembra rimandare a un mondo in cui c’è solo amicizia tra le nazioni: Ailing Gu è nata a San Francisco da padre americano e madre cinese, parla perfettamente mandarino e inglese, ha iniziato a gareggiare a 15 anni come americana, ma dal 2019 ha scelto di rappresentare la Cina. Dice di sentirsi statunitense quando è negli USA, cinese quando è dall’altra parte del Pacifico e pensa allo sport come a un mezzo per creare legami tra le persone, ponti tra culture diverse. 

Dulcis in fundo, allo Shougang Park c’era la bellezza postapocalittica dello Shougang Park stesso, una candida lingua di neve e una ex acciaieria, grigia e piena di ciminiere, a far da cornice. Un modo virtuoso per ridar vita a fabbrica chiusa nel 2011 per inquinamento. Certo, a molta gente il paesaggio industriale tipicamente novecentesco dello Shougang Park non sarà piaciuto, ma, come scriveva Saffo,

Alcuni di cavalieri un esercito, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla nera terra
sia la cosa più bella, mentre io ciò che
uno ama.”

Da Chiaroscuro n° 64, marzo 2022