Non è facile capire in quali manifestazioni sportive organizzate nel corso della Fiera Mondiale di Saint Louis del 1904 furono consentite o, forse, tollerate partecipazioni femminili. Di certo sappiamo che il CIO diede ex post valenza olimpica solo alle gare femminili di tiro con l’arco disputate il 19 settembre. Sei atlete iscritte, tutte statunitensi, e ben tre ori assegnati: due individuali e uno a squadre. Matilda Howell fu la dominatrice di quella sporadica apparizione delle arciere, che si rividero a Londra nel 1908. Poi solo uomini nel 1920 e nulla più fino al 1972, quando in occasione dei Giochi estivi di Monaco l’arco entrò ufficialmente tra gli sport olimpici. Da quel momento non c’è mai stata disparità tra numero di titoli assegnati al maschile e al femminile, tanto che la disciplina è tra quella che a Tokyo 2020 proporrà anche una gara mista (un uomo e una donna per squadra).

Finora nessuna azzurra è riuscita a salire sul podio olimpico. A Rio de Janeiro 2016 la squadra ci è andata molto vicina: Guendalina Sartori, Claudia Mandia e Lucilla Boari furono battute di poco da Taipei nella finale per il bronzo. Il Quotidiano Sportivo, in quell’occasione, ebbe il cattivo gusto di titolare «Il trio delle cicciottelle sfiora il miracolo olimpico». Le giustificazioni addotte («Volevamo essere affettuosi») mostrano come il direttore Giuseppe Tassi non fosse stato neanche scosso dal dubbio di star facendo del body-shaming nei confronti delle arciere. Sull’abitudine di etichettare delle atlete in base a canoni estetici e non alla luce di una disamina tecnica della loro prestazione, poi, nemmeno un cenno: per i giornalisti è normale1.

Lucilla Boari ci riproverà a Tokyo a salire sul podio nel concorso individuale e in quello a squadre. Così come le sue nuove compagne di viaggio Tatiana Andreoli e Chiara Rebagliati, che dovrebbe essere chiamata in causa anche per la gara mista. Sperando che, in caso di successo, non ci siano poi titoli ad “affetto”.