L’aspetto più affascinante di una Olimpiade vissuta da spettatore professionista è che puoi perderti nei 1500 metri stile libero e al contempo dare un’occhiata al tiro a volo… puoi avere su uno schermo una judoka che con gran fatica butta a terra la sua avversaria e sull’altro una imperturbabile arciera che sfodera 10 a raffica come se nulla fosse… puoi guardare con il giusto interesse anche gare di fresca introduzione.
E, quanto a novità, Tokyo 2020 ne ha offerte davvero tante, a partire dal debutto di ciclismo freestyle, skateboard e surf, discipline inserite dal CIO con un occhio (anzi, due) a quella fetta di popolazione giovanile che è poco attratta dagli sport tradizionali e si sente più linea con attività fisiche in cui la ricerca del “trick”, della manovra a effetto, è più importante della classifica finale.

Animato da questo spirito indagatore il 4 agosto mi sono imbattuto nel park femminile dello skateboard. In un non-luogo fortemente postmoderno – un parco di cemento pieno di avvallamenti e con una sommità al centro (detta, non a caso, vulcano) – le skater si cimentavano in acrobazie i cui nomi, rigorosamente inglesi, erano evocati con grande entusiasmo dal commentatore: three-sixty, indy grab, back slide disaster e via dicendo.
C’era la brasiliana Asp, che aveva l’apparecchietto ai denti, ma regalava lo stesso grandi sorrisi a favore di telecamera. C’era la talentuosa giapponese Hiraki Kokona, che a dodici-anni-dodici si sarebbe portata a casa un argento olimpico. E poi c’era la più attesa, la tredicenne britannica Sky Brown.
Ciò che colpiva non erano tanto le classiche note biografiche da genio precoce e le moderne note da genio precocemente commercializzabile: la prima tavola con le rotelle l’ha avuta in regalo a tre anni; a nove anni era già famosa nell’ambiente dello skate e del surf; a undici anni una ben nota azienda l’ha messa sotto contratto; adesso è una celebrità su Youtube e Instagram. La cosa veramente impattante era scoprire che questa atleta-ragazzina aveva già conosciuto uno dei lati più duri della vita di una sportiva, l’infortunio, nel maggio dello scorso anno e, quindi, a soli dodici anni.

Caduta di testa da una rampa di 4,5 metri, Sky Brown aveva in quella occasione subito fratture multiple al cranio, al braccio e alla mano sinistra, lacerazioni al cuore e ai polmoni. Era stata in coma per alcuni giorni, si era poi risvegliata, dall’ospedale aveva iniziato a fare dirette social per rassicurare i suoi follower e dopo poche settimane era di nuovo sulla tavola. Tutto materiale che si trova anche in Reaching the Sky, il documentario iniziato nel 2019 con l’intento di scortare Sky fino alla conquista dell’oro olimpico. A proposito, la britannica a Tokyo ha vinto il bronzo, ma non per questo era meno sorridente del solito. E poi, in fondo, è giusto che l’oro sia andato a Sakura Yosozumi, che a Parigi 2024 avrà 22 anni, decisamente troppi per sperare di salire nuovamente sul podio.

Da Chiaroscuro n° 62, settembre 2021