Sono solo due le cicliste di colore in cui ci si può imbattere guardando una gara della categoria élite. Una è TENIEL CAMPBELL, 22enne di Trindidad e Tobago, che si è messa in mostra in alcune tappe dell’ultimo Giro d’Italia Femminile. “In gruppo sono facilmente distinguibile per il colore della mia pelle e per la mia altezza [1.83m]”, ha dichiarato Teniel, aggiungendo: “Io, però, non voglio essere nota per questo. Vorrei che la gente si accorgesse di me per il mio talento, non […] perché sono completamente diversa da chiunque altra”.

La seconda è l’olandese CEYLIN ALVARADO. Nativa della Repubblica Dominicana, si è trasferita nei Paesi Bassi in giovane età e lì ha imparato ad amare la bicicletta, il freddo e il fango. Come tante delle sue connazionali. Come Annemarie Worst e Lucinda Brand, che nel febbraio 2020 ha battuto di un soffio a Dübendorf in Svizzera, laureandosi campionessa mondiale di ciclocross nella categoria élite, a soli 21 anni. Nell’ultimo sabato di gennaio del 2021 è arrivata solo sesta al Mondiale di Ostenda, complice una caduta alla prima curva stile Formula 1, ma ci riproverà, forte anche delle buone prestazioni e del secondo posto nella classifica assoluta di Coppa del Mondo. E intanto si ventila la possibilità che in futuro il ciclocross possa diventare olimpico ed entrare a far parte delle discipline che assegnano medaglie ai Giochi Invernali.

A proposito, sulla scia delle varie proteste firmate Black Lives Matter, che hanno visto in prima linea molti volti celebri del mondo dello sport nel corso del 2020, anche l’UCI, l’Unione Ciclistica Internazionale, ha cominciato a mettere in moto il classico meccanismo mediatico di pulizia della propria coscienza e del proprio brand, facendo, ad esempio, indossare ai corridori una mascherina con la scritta #notoracisme alla fine dell’ultima tappa del Tour 2020. Perché, anche nel ciclismo pro maschile, gli atleti Black sono davvero pochi.