Nesciente domino Karolo.
La prof di storia ci fa notare che le cronache scritte poco dopo quella fatidica notte di Natale dell’800 parlano di un Carlo Magno a suo agio nel momento in cui papa Leone III lo incorona imperatore, mentre gli Annales Maximiani dell’811, narrano di un re dei Franchi sorpreso, scontento e quasi infastidito della macchinazione ordita dal pontefice.
Altra epoca, altro Reich e nella più famosa scena che nell’immaginario collettivo lega sport e storia vediamo Adolf Hitler allontanarsi dall’Olympiastadion di Berlino per non stringere la mano al nero americano che ha vinto i 100m, Jesse Owens.
Qualche studio in più sui documenti e, invece di rimanere appiattiti su una narrazione che contrappone in modo assoluto i due personaggi, estraniandoli dal contesto, ecco scoprire che, per Owens, fu il suo presidente Roosevelt a ignorarlo molto di più (e sempre per questioni razziali) e che il giorno prima della finale dei 100m Hitler aveva già fatto in modo di non congratularsi in pubblico con un altro nero americano, Cornelius Johnson, vincitore del salto in alto.
Nel caso dell’incoronazione di Carlo Magno successive esigenze politiche hanno consigliato una più prudente versione dei fatti. Con Hitler-Owens è avvenuto il contrario e il tempo stavolta ha permesso di inserire l’episodio in un quadro più ampio. Nella storia dello sport è spesso così e il motivo è facile da comprendere: gli eventi sportivi si fissano nella memoria in relazione al portato emotivo avuto. Pochi ricordano che a Rio de Janeiro nel 2016 il judoka Basile ha vinto l’oro nella sua categoria, mentre tutti più o meno sanno che l’Italia di Bearzot fu campione del mondo nel 1982, anche se sono nati negli anni Novanta.
L’idea che un’Olimpiade o un Mondiale di calcio siano inseriti in dinamiche sociali, culturali e politiche più complesse, non ne limita, però, l’importanza. Semmai la amplifica. Non a caso, al momento attuale, organizzare grandi kermesse sportive è, per i singoli stati, uno dei modi migliori per rinnovare la propria immagine all’estero, dando al contempo la sensazione di avere risorse economiche e finanziarie in abbondanza.
Pensate alla Russia di Putin che nell’ultimo decennio ha ospitato Olimpiade invernale, Mondiale di atletica, di nuoto, di calcio. E, giusto per rimanere a cose a noi più vicine, pensate al Giro d’Italia che nel 2018 ha appaltato a Israele le prime tre tappe o all’Arabia Saudita, che nelle ultime due stagioni ha ospitato la Supercoppa Italiana di calcio.
Sugli spalti dello stadio di Jeddah, a vedere Juventus-Lazio, c’erano anche delle donne: una cartolina scritta dal principe Bin Salman (quello accusato di aver fatto trucidare nell’ottobre 2018 il giornalista Khashoggi) con dietro scritto
Guardate quanto siamo democratici!
Gli anglofoni in tali casi adoperano la parola “sportswashing” e sarebbe molto interessante analizzare a quanti casi di “washing” siamo continuamente esposti.
Ora, però, mi dovete scusare: devo andare al cinema a vedere Hammamet.
Da Chiaroscuro n° 56, marzo 2020