Dal 2008 in Germania, tra Mannheim e Pforzheim, c’è una strada turistica che ricorda l’impresa compiuta da Bertha Benz, nata Ringer (1849-1944), in un giorno di agosto del 1888 alla guida del triciclo costruito due anni prima dal marito Karl e lasciato fino a quel momento in officina nella vana speranza che qualche cliente fosse interessato ad acquistarlo. Checché se ne possa pensare, fu, infatti, una donna la prima persona a condurre un’automobile con motore a scoppio su una strada provinciale e il viaggio non fu neanche breve, visto che Mannheim e Pforzheim distano una novantina di chilometri.

Carri e autobus alimentati a vapore erano in circolazione già da qualche decennio, ma di veicoli destinati a essere venduti a privati cittadini, ovviamente facoltosi, si poteva parlare solo dal 1878, quando Amédée Bollée mise a punto la Mancelle. L’ingegnere tedesco Karl Benz era, però, convinto che il futuro sarebbe stato del motore endotermico. Sostenuto moralmente e aiutato anche economicamente dalla moglie, nel 1886 produsse la Patent Motorwagen, tre ruote, motore a nafta, più leggera e facile da manovrare delle automobili a vapore. Qualche esibizione per le vie di Mannheim, sede della fabbrica, la prima delle quali il 3 luglio 1886, ma nessuna vendita. Da qui lo sconforto di Karl e la risolutezza di Bertha, perché mettere in strada quel triciclo a motore
era l’unico modo per dimostrare a tutti che funzionava davvero.
Difatti, poco dopo l’impresa dell’agosto 1888 e una volta apportate alcune migliorie suggerite dalla stessa consorte (tra cui anche l’introduzione di una seconda marcia), Karl Benz portò una Model III Patent Motorwagen a un’esposizione a Monaco di Baviera e da lì iniziò la sua ascesa.

«A woman moves the world», così sintetizza il sito della Mercedes-Benz nella pagina dedicata a Bertha. Tante le frasi lusinghiere per descriverla: «una signora determinata proveniente da una buona famiglia», «attraente, intelligente ed esperta della società», appassionata di scienze naturali e tecnologia in un momento storico in cui alle donne è negato ogni accesso a un’educazione di alto livello. Della signora Benz viene poi messa in rilievo la capacità di affrontare nel corso del tragitto Mannheim-Pforzheim ogni contrattempo, ogni imprevisto e di saperlo risolvere con l’intelligenza pratica che solo una donna può avere, in altri termini «The weapons of a woman»:

Ella ricorse a una giarrettiera, a una spilla per cappelli, saccheggiò le riserve di nafta di una farmacia incontrata lungo la via.

Il tutto accompagnato da una fede incrollabile nel lavoro del marito che, «a dispetto di tutte le difficoltà incontrate, lei non aveva mai lasciato solo». Il ritratto che ne esce è quello di una donna coraggiosa, intelligente, leale e devota, ma la sensazione è che dietro ogni parola usata ci sia il compiacimento tutto maschile di chi questa donna davvero speciale può esibirla nel proprio Olimpo.
La presenza solo di uomini con pizzetto e tuba alla guida della Patent Motorwagen nelle immagini o nei manifesti pubblicitari d’epoca reperibili in rete lascia presagire che Bertha Benz, dopo il viaggio Mannheim-Pforzheim e ritorno, guidò poche altre volte su strade pubbliche (se non, addirittura, mai più) e che, d’altro canto, Karl non pensò di sfruttare a fini pubblicitari l’idea che anche una signora potesse condurre il suo triciclo a motore. Solo una foto fa eccezione, ma perché ritrae le giovani figlie di Karl e Bertha all’interno di una Patent Motorwagen ferma.

Evidentemente, la Germania imperiale di fine XIX secolo non poteva rappresentare l’avanguardia nell’ambito della guida al femminile, ruolo che avrebbe, invece, assunto di lì a poco la Francia. Bertha Benz si trovò a essere la prima donna a condurre un veicolo con motore a scoppio su strada perché era la moglie del costruttore del veicolo stesso, una modalità d’accesso davvero privilegiata.
Questo ci spinge a fare un parallelismo con Ada Chiribiri (1896-?), una delle prime italiane ad aver partecipato a una corsa automobilistica. Ada aveva anch’essa in casa chi ideava automobili (il padre, Antonio Chiribiri) e, forse per questo e alla pari di Bertha, vedeva il mezzo meccanico come un “membro” della propria famiglia e non come uno strumento per ritagliarsi spazi di libertà. Difatti, la «signorina Chiribiri», che il 17 luglio 1921 «coraggiosamente [pilotò] la propria vetturetta sul difficile percorso» della cronoscalata Biella-Oropa1 e che nella sua categoria giunse terza su sette concorrenti alla Aosta-Gran San Bernardo del 28 agosto 1921, si ritirò ben presto dall’attività agonistica per motivi matrimoniali. Come raccontò la figlia Céline Castellari Marchis in un’intervista,

Cosa significò il matrimonio per Ada?
-L’abbandono, senza troppi rimpianti, sia delle corse, sia del suo incarico nell’azienda paterna.

Usando le categorie qui definite dalla giornalista Gabriela Norris, potremmo dire che Bertha Benz e Ada Chiribiri hanno reagito al modello culturale della «donna passiva», ma hanno accettato quello di «donna angelo del focolare». Dobbiamo, quindi, rivolgerci altrove per avere esempi del modello «donna pilota».

 

Tratto da F. Greco, Le prime donne dell’automobile, Quaderni della Società Italiana di Storia dello Sport, n° 8, p. 121-133