It’s Not About the Bra, ovvero qualcosa tipo “Qui non si parla del reggiseno”. Così si chiama il libro a carattere biografico scritto nel 2005 da Brandi Chastain, la statunitense che il 10 luglio 1999, dopo aver realizzato a Pasadena, davanti a circa 90mila persone, il rigore che aveva dato agli USA il successo nella finale mondiale contro la Cina, si era tolta la maglietta ed era, appunto, rimasta in mezzo al campo in reggiseno.
Le foto del gesto avevano fatto il giro del mondo e avevano contribuito a rendere più noto il calcio negli Stati Uniti, ma – evidentemente – a Chastain non era andato giù che, in tanti, in quelle immagini ci avessero visto un corpo femminile attraente e non la gioia, l’euforia di un’atleta che aveva appena dato un senso a tutte le privazioni e gli sforzi affrontati per poter fare sport ad alto livello e aveva toccato l’apice della sua carriera. Non a caso, il titolo del suo libro fa riferimento al “bra” e il sottotitolo recita: Play Hard, Play Fair, and Put the Fun Back Into Competitive Sports1.

Ventitré anni più tardi, in uno stadio altrettanto pieno e nel corso di una finale altrettanto importante, un’altra calciatrice si è levata la maglietta dopo aver realizzato la rete che di fatto ha deciso il match e assegnato il titolo: Chloe Kelly.
Entrata in campo al quarto d’ora della ripresa, con la squadra appena passata in vantaggio e per di più in sostituzione dell’infortunata Mead, che di reti ne aveva fatte tante nei precedenti incontri, l’attaccante del Manchester City non è stata propriamente nel centro del gioco. Ha visto le sue compagne tirare il baricentro un po’ indietro, ha assistito al meritato pareggio della Germania con Magull e ha partecipato con le altre ventuno in campo a un primo tempo supplementare bloccato e continuamente spezzettato dagli interventi dell’arbitra ucraina Monzul. Kelly, però, si è fatta trovare pronta al 110′, sugli sviluppi di un corner, si è avventata sulla respinta corta di Frohms e ha scaricato la palla in rete. E poi è esplosa la sua gioia, che l’ha portata a ripetere lo stesso gesto che fanno tante volte i colleghi uomini, ma che a livello femminile è molto più raro e ha come iconico precedente quello di Chastain.

Viviamo in una società dell’immagine, in cui ciò che “buca lo schermo” di tv, pc o smartphone rimane molto più in mente di qualsiasi altra cosa. Quindi, con ogni probabilità, negli anni a venire, Kelly si troverà a essere un tutt’uno con quel momento in cui, davanti agli 87mila di Wembley e ai 17 milioni di telespettatori in patria, ha segnato il gol che ha riportato “il football a casa” e ridato alla Nazionale inglese un trofeo a distanza di 56 anni dalla vittoria, anche questa casalinga, nella Coppa Rimet. E ben difficilmente, per rinnovare il ricordo di questo successo, media e giornali ripescheranno qualcosa di diverso da foto o video che mostrano colei che ha appena realizzato la rete vincente mentre corre in mezzo al campo in reggiseno e con la maglietta in mano. Sono, però, in qualche modo persuaso che questo “bra” entrerà nella storia del calcio in generale in modo ben diverso da quello di Chastain, per una questione di cultura e tradizione calcistica.
Le statunitensi sono, infatti, le più forti al mondo, ma il calcio, anzi il soccer non è lo sport più seguito dagli americani e tanto più non lo era nel 1999. Il football è, invece, il gioco più amato al di qua dell’Atlantico, è stato per un secolo e più narrato come espressione della mascolinità (e spesso di quella maggiormente tossica), ma nell’ultimo quinquennio le Nazionali e i club femminili di Inghilterra, Germania, Francia o Spagna hanno saputo conquistarsi uno spazio all’interno di questo mondo pensato fino a quel momento come inevitabilmente maschile. Una crescita ben visibile nel corso di Euro 2022, ben prima che Kelly segnasse la rete alla Germania e si togliesse la sua T-shirt. Per questo, in merito al corpo dell’attaccante del Manchester City, la telecronista Lucy Ward può twittare e scrivere sul Guardian:

This is a woman’s body – not for sex or show – just for the sheer joy of what she can do and the power and skill she has.

Certo, se si guarda alla situazione italiana qualche dubbio in più potrebbe sorgere. Attenzione, però. Che uno dei giornali cosiddetti sportivi dia la notizia della finale di Euro 2022 scrivendo «Kelly segna e fa… lo spogliarello» è una cosa che non può sorprendere, ma che non deve neppure essere ingigantita: una volta snasata la fine che avrebbe fatto la Nazionale di Bertolini, i tre noti media nazionali che contengono la parola “sport” nella loro testata hanno bellamente ignorato quanto ci offriva Euro 2022, ben sicuri che le vicende di mercato o, peggio, Haaland che andava a fare la spesa erano notizie più acchiappaclick. Del resto, nonostante i proclami e le salite sul carro delle vincitrici in occasione del Mondiale 2019, i giornali ufficialmente del settore non avevano mai mostrato vero interesse per la crescita di una cultura sportiva più inclusiva e che, soprattutto, oggettivasse meno il corpo delle donne. Altrimenti tutti i servizi-scoop-esclusive-foto sulle wags sarebbero spariti.
La Rai, invece, è riuscita una volta tanto a dare il giusto spazio a un evento di cui aveva acquisito i diritti, anche se le azzurre si erano comportate molto peggio di quanto ci si attendeva. E anche media non sportivi hanno continuato a dare notizie su come procedeva il torneo continentale femminile, consci che qualcosa nel movimento calcistico globale sta cambiando. Il Corriere della Sera, ad esempio, di fronte alla necessità di lanciare sul web l’articolo sulla finale Inghilterra-Germania ha scelto ovviamente una foto con Kelly in reggiseno, ma poi nel suo pezzo Gaia Piccardi ha scritto:

Kelly che si toglie la maglia e resta in reggiseno dopo il gol decisivo è sembrata più di una citazione di Brandi Chastain e del celeberrimo spogliarello nella finale del Mondiale ‘99 a Pasadena. La rivolta contro i calzoncini bianchi inadatti durante il ciclo, l’autodeterminazione a suon di reti, la pluralità delle giocatrici a segno fanno dell’Inghilterra la squadra più squadra dell’Europeo. L’Italia, ahinoi, è lontana anni luce.

Mischiando, correttamente, le rivendicazioni tecniche con quelle sociali e culturali. Perché del calcio femminile è questa la forza dirompente. E anche la nostra speranza.