Il pugilato è uno di quegli sport che accompagna una Olimpiade in tutto l’arco del suo svolgimento. Anche a Tokyo sarà così: primi incontri il 24 luglio, ultimi titoli assegnati l’8 agosto, giorno della cerimonia di chiusura. Il pugilato è anche una disciplina “storica”: primo ingresso a Saint Louis 1904 e nessuna edizione saltata da quel momento in poi.
All’evento organizzato nel corso della Expo-Olimpiade della Louisiana parteciparono anche alcune donne, ma i loro nomi si sono persi, forse per sempre1. Di storico la boxe ha, infatti, anche il fatto che abbia assegnato i primi ori al femminile solo a partire da Londra 2012, cioè più tardi di qualsiasi altro sport già presente ai Giochi estivi. Furono tre le campionesse olimpiche: la britannica Adams nei pesi mosca, l’irlandese Katie Taylor nei pesi leggeri, l’americana Claressa Shields nei medi. La prima si è confermata nel 2016, le altre due sono passate al professionismo e hanno conquistato corone mondiali.

A distanza di due edizioni, il CIO ha portato da tre a cinque il titoli femminili, aggiungendo i pesi piuma e i welter, e, contestualmente, ha abbassato da dieci a otto i concorsi riservati agli uomini. Una decisione impensabile fino a qualche decennio fa, ma in linea con la politica del Comitato Olimpico volta a far sì che ad atlete e atleti siano destinati lo stesso numero di ori nel corso di una Olimpiade.
Sarà per la riduzione delle categorie, sarà per una programmazione sbagliata o per la vana attesa di wild card per Clemente Russo, fatto sta che un po’ a sorpresa in Giappone non ci sono stati boxeur azzurri. In compenso, ci sono state quattro boxeuse, segno che, pur se sotto traccia, sta cambiando in Italia il modo in cui come venga percepito e praticato dal basso uno sport come il pugilato, basato sulla forza e per questo ritenuto per tanto tempo esclusiva pertinenza degli uomini.
A proposito, Irma Testa, con il suo bronzo nei pesi leggeri, è diventata la prima pugile azzurra a salire sul podio olimpico.