Mercoledì 21 luglio, prima ancora che la XXXII Olimpiade apra ufficialmente i battenti con la Cerimonia inaugurale, una squadra azzurra scenderà in campo. È quella di softball e avrà di fronte, in una sfida non certo facile, le statunitensi campionesse mondiali in carica.
Nell’ultimo anno le agenzie di stampa hanno parlato di questo sport forse solo in due occasioni: a febbraio, quando il Covid si è portato via il ct della Nazionale Enrico Oberletter, e a inizi luglio, quando le azzurre hanno vinto il Campionato europeo. Ad ogni modo, l’Italia vanta una buona tradizione nel softball e ha già partecipato ai tornei olimpici di Sydney 2000 (quinto posto finale su otto squadre) e Atene 2004 (ottavo su otto). Sarà, inoltre, l’unica delle sei qualificate a rappresentare il Vecchio continente a Tokyo in questa sorta di nuovo debutto olimpico della disciplina, a tredici anni dall’ultima apparizione ai Giochi di Pechino.
Il softball è comunemente percepito come una versione femminile del baseball che, in quanto riservato alle donne, si gioca su un campo ridotto ed è meno pericoloso per l’incolumità di chi gioca perché la palla è più grossa, viene rilasciata all’altezza dell’anca e, quindi, viaggia meno veloce.

In realtà, non è così. Il baseball femminile esiste, ha un Mondiale gestito dalla World Baseball Softball Confederation e ha anche vissuto negli USA tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso un periodo di grande notorietà. Era il periodo della All-American Girls Professional Baseball League (AAGPBL).
Nel 1943, con Joe Di Maggio e gli altri passati «dalle palle alle pallottole» per «dare una colossale tirata d’orecchi ai tedeschi»1, il presidente dei Chicago Cubs, club della Major League, mise in piedi una lega femminile per colmare il bisogno di baseball degli americani. Poi la guerra terminò, i celebrati campioni della lega professionistica maschile tornarono a giocare e quell’esperienza finì via via nel dimenticatoio, fino a cessare del tutto. Una dinamica, quella del concedere alle donne la possibilità di praticare uno sport “maschile” quando gli uomini sono in guerra, che accomuna Alfonsina Morini e le munitionettes della Dick, Kerr’s Ladies Football Club alle donne che diedero corpo alla AAGPBL.