Il Mondiale femminile di Francia 2019 fra sessismo, omofobia, baci e coming out – TERZA E ULTIMA PARTE – Qui PRIMA PARTE e SECONDA PARTE

Baci da mostrare, baci che dimostrano (o no?)

La tipologia di paesi “aperti” (I), “prudenti” (II) e “chiusi” (III) prima abbozzata, può permetterci di comprendere non solo la complessità del calcio femminile contemporaneo, ma pure alcune specificità della ricezione dei Mondiali di Francia 2019 in un paese su questo argomento “prudente” come il nostro. Si ricordi che il primo coming out di una sportiva azzurra di un certo livello è recentissimo: 2016, Olimpiadi di Rio de Janeiro, quando la nuotatrice Rachele Bruni ha presentato alla stampa la propria compagna Diletta. In realtà, la primazìa spetterebbe a quello risalente al febbraio 2014 di Nicole Bonamino, portiere della Nazionale femminile italiana di hockey in-line, uno sport tuttavia a impatto mediatico praticamente nullo, nel nostro paese, come riconosciuto per altro implicitamente dalla stessa sportiva nel dichiarare che «è ora che si parli di questo argomento, e che qualcuno più famoso di me lo faccia»1.
Dando per presupposto che la FIFA abbia adottato e propagandato durante i Mondiali di Francia 2019 un atteggiamento “aperto” (I), ad esempio attraverso la campagna “Living Diversity”, si capisce l’osservazione di Silvia Galbiati, la quale ha dichiarato che «per quanto riguarda la questione dell’omosessualità nel calcio, credo che si sia fatto di più in questa edizione del Mondiale femminile che in anni e anni di battaglie nel calcio maschile». In effetti, prima e durante la kermesse francese, il pubblico italiano è stato messo improvvisamente davanti a ciò a cui non era abituato: così, ad esempio, alla vigilia della manifestazione Cristina Piotti spiegava alle lettrici di Io Donna che per una volta i giornali avrebbero risparmiato loro le canoniche gallery ed articoli dedicati alle wags, perché le calciatrici «ancora una volta, ci sorprendono. Prima di tutto, sono state loro a rompere un tabù ancora estremamente forte nel mondo del calcio maschile, presentando al mondo le proprie compagne (soprattutto quello americano, dove il calcio femminile è molto più seguito che in Italia), oltre che compagni».
Il riferimento agli States non è casuale. Twitter testimonia la reazione strabiliata di molti di fronte al fatto che, ad esempio, si parli senza problemi della compagna di Megan Rapinoe durante la telecronaca italiana di USA-Thailandia: «Su Sky Sport stanno parlando tranquillamente ed apertamente di una coppia lesbica, Megan Rapinoe e Sue Bird. Calcio femminile e omosessualità in TV, in prima serata. Senza timori. E non vi dico la qualità del commento tecnico. È tutto fin troppo bello», twitta, ad esempio, l’utente @myownblue. La figura della co-capitana statunitense, pressoché sconosciuta al grande pubblico italiano prima del Mondiale, è stata dirompente proprio perché «è omosessuale e non ne fa mistero. Ha una relazione sentimentale con Sue Bird, playmaker della nazionale americana di basket. Insieme fanno cinque ori olimpici […] e una delle coppie più glam dello sport americano. Sono state la prima coppia gay sulla copertina della Body Issue di Espn Magazine, Megan è anche stata la prima atleta omosessuale dichiarata a finire nella Swimsuit Issue di Sports Illustrated»2.

Il momento mediaticamente più significativo del Mondiale di Francia 2019, riguardo alla libera espressione del proprio orientamento sessuale e soprattutto riguardo alla propria scelta di vita, è stato tuttavia senza dubbio la pubblicazione della foto, immediatamente rilanciata da social e giornali in tutto il mondo (Italia compresa), dell’effusione fra la calciatrice svedese Magda Eriksson e la propria compagna, la danese (ma per l’occasione indossante la divisa della nazionale gialloblu) Pernille Harder, al termine di Svezia-Canada, ottavo di finale disputato il 24 giugno 2019. Per altro, come dichiarato dalle due stesse calciatrici scandinave al Guardian a Mondiale terminato, il loro gesto non era stato premeditato. Non sapendo di essere in quel momento fotografate, si sono accorte successivamente del clamoroso successo mediatico del loro gesto intimo: «solo quando abbiamo visto quella fotografia, e i commenti su di essa, ci siamo accorte che eravamo diventate delle specie di role models» ha successivamente dichiarato Harder3.
È solo ricostruendo questo clima generale di tentata rivoluzione dell’immaginario che è possibile comprendere la topica presa da molte persone, evidentemente in attesa che qualche azzurra emulasse le colleghe straniere citate fino ad ora: il giorno dopo Svezia-Canada, l’Italia batte 2-0 la Cina; al termine del match, Aurora Galli, autrice di una pregevole marcatura al 49’, va a baciare una ragazza sugli spalti. Lo stupendo scatto fa quasi immediatamente il giro del web, venendo riproposto dalla senatrice del PD Monica Cirinnà come esempio di #LoveWins, con tanto di arcobaleno. Poi la bufala è svelata, la sconosciuta baciata dalla calciatrice non era la compagna di Aurora Galli, bensì sua sorella. Così, hanno ovviamente avuto il loro momento di gloria i nemici ideologici delle battaglie per le Unioni Civili.D’altra parte, anche un sito che specifica «mai troverete su queste pagine una critica nei suoi confronti», in riferimento alla Cirinnà, definita «nostra paladina», non ha mancato di sottolineare come «spruzzando» in buona fede «arcobaleno dagli occhi», è incorsa in una clamorosa «gaffe»

Il riserbo delle azzurre

Durante il Mondiale 2019, finendo per la prima volta sotto i radar della stampa scandalistica, le #RagazzeMondiali sono state  sottoposte ad uno screening sentimentale, con giornali e siti alla ricerca di qualche gossip (etero- od omosessuale che fosse) da dare in pasto ai propri lettori. Una pressione mediatica per loro inedita e che hanno dovuto imparare a gestire, ma nessuna di loro ha dato in pasto alla stampa le proprie vicende sentimentali al fine di guadagnare un effimero quarto d’ora di celebrità4. Del resto, erano state loro stesse, alla vigilia della manifestazione, a invocare, attraverso la voce di Katia Serra, il proprio diritto ad essere giudicate solo ed esclusivamente per i propri meriti sportivi: «l’auspicio è che, a cominciare da questo Mondiale, si scriva e parli delle prestazioni calcistiche delle ragazze e non della loro estetica o delle loro scelte di vita. Mi sono confrontata con le azzurre in ritiro: vogliono essere raccontate per ciò che faranno sul campo, e basta».
Il magro bottino finale della stampa scandalistica, risalente per altro tutto quanto ai primi giorni della manifestazione francese, consiste nella piccante (?) rivelazione di Cristian Cottarelli (fidanzato dell’azzurra Laura Giuliani) circa la loro astinenza sessuale di coppia durante il Mondiale, e soprattutto nel gratuito outing di Alessandro Cecchi Paone. Il celebre presentatore, intervistato durante la trasmissione di Radio 24 La Zanzara, è entrato a gambe tesa nella privacy delle azzurre, affermando che «le calciatrici lesbiche hanno un doppio problema. Ci sono molte più donne lesbiche nel calcio femminile che gay in quello maschile. Da anni aspettiamo il coming out di un calciatore, ma dopo il Mondiale ci sarà il coming out di intere squadre femminili. In una squadra almeno la metà sono lesbiche e ovviamente non lo dico in senso negativo. Le ho sempre protette. Sono lesbiche perché c’è una componente maschile in alcune donne lesbiche che trova sbocco in ambiti che una volta erano solo maschili. E questo discorso vale anche per la Nazionale. Alcune le conosco». Mentre molti utenti sui social condannavano tale attentato alle privacy delle #RagazzeMondiali , nessuna delle dirette interessate ha voluto commentare le dichiarazioni di Cecchi Paone, le quali sono finite, nel giro di qualche giorno, nel dimenticatoio.

Il coming out post-Mondiale di Elena Linari

Elena Linari, Foto Cafaro/LaPresse

Solo a metà ottobre 2019, con il Mondiale di Francia ampiamente alle spalle, c’è stato quello che è stato definito come il primo coming out di una calciatrice azzurra di caratura internazionale: la numero 5 della Nazionale, Elena Linari, ha infatti parlato per la prima volta pubblicamente, ai microfoni della trasmissione RAI Dribbling, del proprio orientamento sessuale e della propria partner: «“Sogno di fare un goal da dedicare alla mia compagna” sono le parole della calciatrice che hanno fatto brillare i media di tutta Italia, i quali hanno riportato la notizia in pochi minuti dopo la messa in onda dell’intervista. Un vero e proprio fulmine a ciel sereno»5. Si ricordi che, se «un contesto omonegativo ed eterosessista porta gli atleti GLB a non rivelare il proprio orientamento sessuale principalmente per la paura di non essere accettati e per timore di veder compromessa la loro posizione all’interno del contesto sportivo», d’altra parte «il coming-out, cioè la scelta di rivelare il proprio orientamento sessuale non eterosessuale agli altri, è una componente essenziale nella formazione di un’identità GLB positiva e dell’adattamento al contesto in cui s’interagisce. Nonostante questo, il coming-out può avere delle conseguenze negative, come la discriminazione, il pregiudizio, la vittimizzazione e il rifiuto da parte degli altri»6.

La 26enne calciatrice fiesolana, attualmente tesserata per il Bordeaux, convinta che «nella mia vita privata devo essere libera di fare quello che voglio», ammette una differenza di mentalità fra la propria patria e la Spagna dove ha giocato fino alla stagione 2019/20: «A Madrid non ho nessun problema, a parlare della mia omosessualità. E sapete perché? Perché non è un argomento scioccante come in Italia, dove tanta gente reagisce male. Essere gay in Spagna non è come essere gay in Italia». La ct Milena Bertolini ha subito lodato il gesto della propria calciatrice, sottolineando come positiva la scelta di aver voluto utilizzare la notorietà recentemente raggiunta per una battaglia civile del genere: «Elena è stata brava e coraggiosa, oggi è una persona conosciuta e un punto di riferimento per i giovani: che i personaggi pubblici si espongano sul tema della propria sessualità può aiutare i ragazzi e le ragazze che li seguono e magari hanno paura di esprimersi»7.
Così come accaduto per la presunta battaglia di Milena Bertolini per l’adozione di miss al posto di mister8, l’ascolto integrale di Le scelte di Elena (l’intervista originale rilasciata da Linari a Sara Meini per Dribbling) permette di cogliere molti interessanti sfumature che giornali e media hanno invece solitamente ignorato. Una prima piccola ma significativa omissione è il riferimento agli «sponsor», fatto allorquando la calciatrice toscana (forse facendo un riferimento alle insinuazioni estive di Cecchi Paone?) dice testualmente:

Per attirare l’attenzione sul calcio femminile bisogna parlare della sua omosessualità? Cioè, è un paradosso, questo, secondo me! Cioè, bisogna dire che una ragazza sta con un’altra ragazza per attirare l’attenzione della gente, l’attenzione mediatica, gli sponsor, in questo modo? Abbiamo sbagliato tutto allora nella vita, eh!.9

Individuando la catena composta da “gente” – “attenzione mediatica” – “sponsor”, Linari mostra di essere cosciente non solo della mancanza di interesse autentico dei media per il calcio femminile, ma anche di come il sistema dei media e degli sponsor, che ha recentemente scoperto questo mondo, voglia in fondo “storie” da vendere, anche quando di segno omosessuale10.
Generalmente non riportato per intero è, invece, un altro passo dell’intervista, dedicato alle paure che Elena confessa di avere allorquando si ritrova, nella gestione dei suoi profili social, di fronte a post o contenuti “sensibili” dal punto di vista dell’orientamento sessuale (una differenza per altro già notata da Martina Rosucci nel 2015): «Ovviamente, ci sono tante volte in cui casomai uno … un post, un qualcosa, non lo mette, per evitare di non toccare direttamente le persone, perché ancora in Italia non siamo pronti a fare questo passo». Solo a questo punto Linari si lascia andare all’esclamazione riportata da tutte le testate, con la quale cerca di sfatare il mito riguardo l’orientamento sessuale “standard” delle calciatrici: «E si sente: non è che nel calcio femminile fioccano [le] omosessuali: cioè, assolutamente no! Ci sono nel calcio femminile, nel calcio maschile, in qualsiasi altro sport, e nella vita quotidiana».

Dopo aver raccontato di come in Spagna nessuno si faccia particolari problemi riguardo la sua scelta di vita (nessuno ad esempio si scandalizza se vuole portare la propria partner ad un ricevimento o ad un appuntamento), Linari deve rispondere alla domanda circa la differenza con l’Italia. Il difensore della Nazionale ammette di far tutto per evitare di trovarsi a dover gestire situazioni come quella appena citata:

Sono io la prima in realtà ad aver paura quasi ad affrontare il problema, perché non so la gente come potrebbe reagire. È questo che mi dà quasi più paura: cioè, se io dico “Guarda, sto con una ragazza …” “Porca vacca! Cioè …!”. Ho paura del giudizio delle altre persone.

Strategie di spogliatoio

Alla luce di alcune interviste si può arrivare ad ipotizzare che, dovendo tutte le calciatrici, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, lottare contro il sessismo insito nell’adagio “il calcio non è in gioco per signorine”, c’è particolare solidarietà nello spogliatoio con le compagne che sono chiamate a combattere una seconda specifica battaglia, quella contro il pregiudizio omofobico11. Tale passaggio logico è ciò che sta alla base di una dinamica talvolta riscontrabile nelle parole delle #RagazzeMondiali: all’affermazione difensiva che “non è vero che tutte noi calciatrici siamo automaticamente lesbiche” segue poi spesso, al contrattacco, la domanda polemica “e se anche così fosse?”.
Una struttura retorica evidente ad esempio in questo passaggio tratto della biografia di Barbara Bonansea:

Nel calcio femminile si pensa, spesso a torto, che l’omosessualità sia così diffusa e importante solo perché per un secolo e mezzo il calcio è stato (ed è stato visto) soltanto, esclusivamente come uno sport maschile, fino ad arrivare alla banale equazione che allora, se a una donna piace il calcio, significa che è maschile o mascolina, ma non è così, non è vero. E se anche fosse? Un calciatore viene giudicato se è forte o è scarso, e anch’io voglio essere giudicata così, forte o scarsa, non se sono etero oppure omo. Sono stata chiara?

Lo spogliatoio di calcio femminile in Italia si viene allora a configurare come «un contesto omo-sociale», pronto a cioè «favorire relazioni monosessuali non romantiche o sessuali, ma amicali» fra donne di diverso orientamento sessuale?12 Parrebbe di sì, stando alle parole di Elena Linari: «Nello spogliatoio, noi, in Nazionale e nel club, viviamo tutto molto serenamente. Ci sono calciatrici omosessuali e calciatrici eterosessuali, com’è normale che sia»13.

Sarebbe poi tutta da indagare una più ampia e affascinante ipotesi, quella per cui il rifiuto del razzismo, del sessismo e dell’omofobia siano delle caratteristiche “nazionali” delle comunità di spogliatoio femminile degli sport di squadra in Italia, perlomeno di quelli socialmente avvertiti come maschili.
Si rilegga in quest’ottica la testimonianza dell’hockeista su prato Valentina Quaranta: «io, per fortuna, ho sempre incontrato gruppi in cui, bene o male, c’era tolleranza, assolutamente e veramente non ho assistito a nessun episodio di omofobia, piuttosto che razzismo, piuttosto che sessismo»14. Una visione dello spogliatoio femminile come luogo di accoglienza di qualsiasi tipo di diversità, che emerge anche dalle parole dell’azzurra Manuela Giugliano:

Una certa mentalità retrograda, in Italia, resterà sempre viva, e non riguarda solo il mondo del calcio. Tocca e coinvolge molti settori. Qualcuno vuole sempre vedere la diversità dove la diversità non esiste. Lo dicevo prima: ai bambini si insegna che le differenze ci sono, si punta il dito verso chi non rispetta determinati canoni, anche estetici. Noi calciatrici della Nazionale facciamo di tutto perché l’uguaglianza sia la regola, eppure qualcosina scappa sempre»15

Se questo è ciò che accade dentro gli spogliatoi di calcio femminile, al di fuori di esso l’Italia si conferma un paese “prudente” (II). L’esempio delle inglesi Lianne Sanderson e Ashley Nick, prima coppia omosessuale pubblica di calciatrici nel nostro paese, compagne di squadra di moltissime azzurre in quanto giocatrici della Juventus Women nella stagione pre-Mondiale 2018/19 e ben accolte dal pubblico italiano, non è in questo senso molto significativo, trattandosi di calciatrici straniere, per quanto impiantate sul suolo italico.
Forse la reticenza fra le #RagazzeMondiali a fare eventuali ulteriori coming out è dovuta anche al fresco ricordo del clamore generato nel novembre 2018 da quello della pallavolista Paola Egonu, gesto da molti considerato un’inutile ostentazione, o ancora per la paura di perdere l’appoggio che solamente ora si stanno finalmente facendo avanti, perlomeno con le calciatrici italiane più di prospetto, anche se bisogna ricordare che le aziende sponsorizzatrici (Adidas, su tutte) non sono per forza ostili agli sportivi che esprimono il loro orientamento omosessuale. E se, invece, il bandolo della matassa fosse altrove?

Tutti coloro che hanno intervistato, prima e durante il Mondiale, le azzurre hanno notato come il riserbo, la gelosia per la propria riservatezza sia un loro tratto caratteristico16, e che spesso le ha distinte positivamente, agli occhi del pubblico nazionale, rispetto ai loro colleghi maschi: «per fortuna, al contrario di ciò che avviene con i calciatori, non troveremo mai le loro [= delle calciatrici] storie sui giornaletti di gossip. A parte i tentativi di attribuire fidanzate a tutto spiano a tutte le calciatrici, dico»17.
Si tratta di un atteggiamento rivendicato apertamente dalla stessa Linari, quando puntualizza che «noi non dobbiamo ostentare la nostra omosessualità, però non dobbiamo, possiamo né vogliamo nasconderci». Le dà manforte la compagna di spogliatoio Barbara Bonansea, interpellata sul fenomeno omosessualità del calcio femminile: «Siccome se ne parla, se ne dice, se ne racconta tanto anche nel calcio femminile, allora non parlarne, non scriverne, non raccontarne sarebbero interpretati come un’omissione, come per paura o per timore più che per discrezione o, semplicemente, per normalità. Per me è una questione – etero oppure omo – così personale che nessuno ci deve entrare perché ognuno deve fare quello che sente e si sente»18.

Se si mettono a sistema queste ultime due affermazioni con quelle già citate di Katia Serra, si delinea una sorta di “Italian way”, che significativamente trascende il pur significativo campo dell’omosessualità: da una parte un “non nascondersi (più), ma nemmeno ostentare” ben delineato da Linari, dall’altra una generale policy di mantenimento della privacy sentimentale delle singole, valida anche per le calciatrici che si percepiscono etero, e in generale di minimizzazione di tutto ciò che non sia strettamente legato all’ambito sportivo19.
Che lo spogliatoio della Nazionale azzurra sia capace di decisioni collettive, del resto, è dimostrato da una vicenda legata a una polemica a sfondo sessista, quale quella generatesi nel febbraio 2019 a partire dalle parole dell’ex calciatore, ora opinionista TV, Fulvio Collovati durante la trasmissione RAI Quelli che il calcio: «le donne non possono parlare di tattica, quando sento che lo fanno mi si rivolta lo stomaco». Se in quell’occasione la ct Milena Bertolini, intervistata da ANSA, aveva condannato le parole del campione del mondo 1982, le azzurre avevano taciuto, o meglio avevano deciso tutte quante insieme di tacere, dopo averne parlato insieme. Il particolare è stato rivelato solo tre mesi dopo dalla centrocampista Manuela Giugliano all’inviata di Rivista Undici: «Noi come gruppo, a livello nazionale, ne abbiamo parlato tanto, ma solo tra noi. La verità è che ci sembrava non potessimo fare molto. Per indole siamo abituate a dimostrare le cose in campo»20.