“Lo sapete, vero, che il cognome delle donne è una cosa che non esiste.
Portiamo sempre quello di un altro maschio.”
“Comincia tu a tenerti il tuo, e poi si vede.”
Aurora Tamigio, Il cognome delle donne, 2023

Parlando del quartetto danese che sta per sfidare gli azzurri nella finale dell’inseguimento a squadre del Mondiale di ciclismo su pista del 2023, Francesco Pancani avverte che, per tre quarti, la formazione è la stessa che due anni prima a Tokyo si è vista sfilare l’oro olimpico da Filippo Ganna e soci all’ultimo giro. Anche se apparentemente, aggiunge il telecronista Rai, solo due coincidono: Niklas Larsen e Rasmus Pedersen. Il terzo a essere presente in entrambe le occasioni, Lasse Norman Leth, nel 2021 gareggiava come Lasse Norman Hansen.

Come è possibile che un atleta da un momento all’altro decida di iscriversi a una gara con un nome diverso?

Non siamo di fronte a uno di quegli acquisti da parte di ricche potenze del Golfo Persico che, in cambio di dollari e nuova nazionalità, chiedono alla persona in questione di prendere un nuovo nome che sappia più arabo. Vedi il keniano Stephen Cherono che nel 2003 vinse il Mondiale dei 3000m siepi come qatariota e con il nome Saif Saeed Shaheen o il bulgaro Angel Popov che divenne Said Saif Assad e, anche lui da qatariota, fu bronzo nel sollevamento pesi, cat. 105kg, a Sydney 2000. Non siamo neanche davanti a una scelta tipo quella del calciatore Yannick Carrasco che, a un certo punto della sua carriera e dopo aver già segnato in una finale di Champions League come Ferreira-Carrasco, ha deciso di cancellare dalla sua maglietta il cognome del padre, che aveva abbandonato la sua famiglia quando lui era ancora un bambino.
Niente di tutto ciò, la soluzione è più semplice. Dietro la scelta del ciclista danese c’è una pratica che in ambito sportivo è molto comune (e che tormenta chi si occupa di dati). Una pratica, però, fortemente genderizzata, tanto che, almeno per quanto mi riguarda, è la prima volta che sento di un atleta maschio che se ne avvale. E allora, prima di svelare l’arcano, avanti con la domanda iniziale riformulata strettamente al femminile e largo alle conseguenze del patriarcato:

Come è possibile che UNA atleta da un momento all’altro decida di iscriversi a una gara con un nome diverso?
Basta che nel frattempo si sia sposata o, addirittura, risposata e abbia optato per iscriversi con il cognome del marito.

Tatjana Khamitova e Ludmila Leonova, ad esempio, non hanno vinto nessuna medaglia internazionale da nubili. Khamitova, iscritta come Samolenko, il cognome del suo primo marito, fu oro iridato al Mondiale di atletica del 1987 e all’Olimpiade di Seul nel 1988 nei 3000m piani; nel 1991 si confermò nella sua distanza preferita dopo aver cambiato coniuge e, ovviamente, nome con cui era iscritta alle liste IAAF (Tatjana Dorovskikh). Per fortuna -si fa per dire-, per questioni di doping ha chiuso la sua carriera nel 1993 e così non c’è traccia negli annali di successi come Apajcheva, al netto del suo terzo matrimonio, o come Tetjana e non Tatjana, al netto della “ucrainizzazione” ex post dei nomi russi per motivi che immagino sia superfluo spiegare.1 Per Leonova percorso simile con un cambio di nazionalità in mezzo, conseguenza del secondo matrimonio, e una storia di rivincita contro un tumore che l’aveva colpita mentre era nel pieno della carriera: oro a Tokyo 1991 nei 100m hs come Narozhilenko, oro sei anni dopo da svedese, iscritta come Ludmila Engquist.

Ovviamente non c’è solo l’atletica. Lindsay Kildow era una promettente discesista americana che, una volta sposatasi e iscrittasi con il cognome del marito (Vonn), è diventata una delle più grandi campionesse della storia dello sci; e, a divorzio ottenuto, ha continuato a gareggiare con il cognome dell’ex coniuge! Nel ciclismo c’è la britannica Lizzie Amitstead, che ha mietuto tanti successi da nubile, si è sposata nel 2016 e, dopo aver essersi fermata per maternità, ha corso e vinto la prima Roubaix femminile della storia come Lizzie Deignan. Nel calcio c’è Julie Ertz, nata Johnson, che ha vinto due Mondiali FIFA da protagonista, uno per cognome.
Ci sono poi coloro che optano per una soluzione intermedia. Mi vengono in mente altre due campionissime della bici, Jeannie Longo e Leontien van Moorsel, che a un certo punto della loro carriera cominciarono a gareggiare come Longo-Ciprelli e Zijlaard-van Moorsel. Forse per poter conciliare due obiettivi, quello di continuare a essere riconoscibili dal grande pubblico senza troppo sforzo e quello di dare al proprio coniuge il segnale che la propria vita personale aveva comunque subito una svolta con le nozze.     

Più in generale, il fatto che atlete, anche non di alto livello, preferiscano iscriversi alle gare con il cognome del coniuge o aggiungendolo al proprio, si potrebbe ricondurre all’atavica sensazione che una donna sposata si percepisce come potenzialmente più vincente, perché più completa, con un uomo al suo fianco che la sostiene, la protegge e -guarda caso- spesso la allena.
A parte Giuliana Chenal Minuzzo, la storia sportiva italiana al femminile non sembra aver offerto tanti altri casi di atlete di successo che hanno gareggiato e vinto iscrivendosi con cognomi diversi nell’arco della propria carriera.2 Anche perché, da un lato, a differenza di quanto si possa pensare, il cambio cognome post matrimonio non è mai stato obbligatorio per legge nell’Italia repubblicana, nonostante l’art. 143 bis del Codice Civile affermi «La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze»: il Consiglio di Stato nel 1997 ha, infatti, chiarito che l’aggiunta è riferita ai contesti sociali (in pratica, perché la donna potrebbe ricavare prestigio dal farsi identificare come moglie di), mentre continua a essere obbligata a firmare con il nome che la identifica all’anagrafe in contesti ufficiali. Ad ogni modo, ancora oggi per le azzurre le nozze coincidono spesso con la fine carriera o arrivano dopo la fine della stessa. Vedi i casi della “Divina” Federica Pellegrini o della fondista Greta Laurent, ritiratasi dall’agonismo e poi divenuta moglie di Federico Pellegrino.

Da questo rapido excursus viene fuori un quadro in cui soprattutto per atlete di alcune nazioni, vedi Russia e Stati Uniti, agire sull’anagrafe sportiva è qualcosa di usuale. Negli States, però, la legge consente anche agli uomini di poter prendere il cognome della propria moglie e qualcuno lo ha già fatto. Però, non ancora sportivi. E qui torniamo alla curiosità da cui si è partiti e che è diventata uno spunto per una serie di osservazioni che andassero al di là. In Danimarca per ambo i coniugi cambiare il cognome nei primi tre mesi dopo il matrimonio è addirittura gratuito e della norma ne hanno approfittato il bicampione olimpico e più volte campione iridato Lasse Norman Hansen e l’altra ciclista, argento nella Madison a Tokyo 2020, Julie Leth. Insieme, decidendo di fare una crasi dei propri cognomi e di essere da adesso in poi Lasse e Julie Norman Leth

Nell’immagine in evidenza: Lasse e Julie Norman Leth nel 2021, dopo la vittoria nell’omnuim al campionato danese di Odense. In quel momento non erano ancora sposati.